Da Pink Floyd a Bowie: vendere il catalogo è un affare. Ma per chi?

  • Postato il 27 ottobre 2024
  • Pink Floyd
  • Di Panorama
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Da Pink Floyd a Bowie: vendere il catalogo è un affare. Ma per chi?



Back catalogue è la parola magica, l’asset più prezioso dell’industria musicale di questo tempo. La ragione è semplice: con qualche rara eccezione, non esiste alcuna certezza che i gruppi e gli artisti che dominano le classifiche e il box office oggi abbiano ancora un pubblico tra dieci o vent’anni. Per molti, soprattutto quelli legati alle tendenze più passeggere, il rischio dell'oblio è consistente.

Di contro, c’è l’usato sicuro, il repertorio di band e cantanti che da cinque e sei decenni tengono insieme il pubblico degli inizi e quello delle nuove generazioni. Sono gli autori di dischi e canzoni che generano inesorabilmente royalties ogni giorno: musica universale e senza tempo, musica “classica" verrebbe da dire pensando ad album come A night at the opera dei Queen, The dark side of the moon dei Pink Floyd, Thriller di Michael Jackson o Born in The U.S.A. di Bruce Springsteen. È questa la ragione per cui case discografiche, aziende editoriali e fondi di investimento si contendono a cifre stratosferiche i cataloghi e il repertorio della musica vintage che non passa mai di moda. Un investimento sicuro e duraturo anche perché non riguarda soltanto la musica in senso stretto. Quattrocentodieci milioni di euro è la cifra dell’accordo raggiunto nei giorni scorsi dalla Sony con i Pink Floyd per la cessione dell’intero catalogo del gruppo inglese, un deal che mette fine alle decennali controversie tra i due leader del gruppo, Roger Waters (81 anni) e David Gilmour (78), e che solleva gli eredi da future estenuanti battaglie legali.

Da adesso in poi la Sony avrà la gestione di tutto quello che la band ha inciso, del brand, del merchandising e persino delle iconiche copertine dei dischi. Potrà quindi pubblicare nuove compilation, versioni rimasterizzate dei dischi, inedite registrazioni live, sincronizzare la musica a campagne pubblicitarie, serie tv e film e progettare documentari e biopic sulla storia della band (per queste ultime due voci è necessario il consenso al progetto da parte del gruppo). Nel contratto è anche espressamente citato il “diritto di somiglianza” che tecnologicamente parlando apre le porte ad una versione avatar dei Pink Floyd da portare in tour in tutto il mondo sulla falsariga di quello che stanno facendo da anni gli Abba Avatar a Londra.

Ad essere coinvolti in questo tipo di contrattazioni non sono soltanto le major discografiche, ma anche altri soggetti quotati in borsa come la company inglese Hipgnosis, che di recente ha venduto i suoi asset a Blackstone, una delle più grandi società finanziarie del mondo. Hipgnosis possiede e gestisce quarantamila canzoni appartenenti al catalogo di 150 artisti (tra i tanti, Neil Young, Blondie, Shakira, Nile Rodgers), per un valore di oltre tre miliardi di dollari.

Puntare non solo sull’intero repertorio degli artisti cult, ma sui singoli brani è una precisa strategia commerciale: tra miliardi di canzoni pubblicate ce ne sono alcune migliaia che per ragioni emotive e irrazionali sono un patrimonio senza tempo anche senza essere legate a nomi che hanno fatto la storia della musica contemporanea. Sono pezzi che garantiscono un flusso di incassi regolare perché passano in radio, tornano ciclicamente di moda ed entrano nelle colonne sonore dei film e nella pubblicità. Basti pensare a My Sharona dei Knack, a Take on me degli A-ha, a Tubthumping dei Chumbawamba, a Space di Sheila & B Devotion.

Se invece parliamo di cataloghi, la trattativa in dirittura d’arrivo tra Sony e Queen rappresenta un unicum nel business musicale, perché il prezzo fissato per la discografia e i diritti connessi alla band di Freddie Mercury è superiore al miliardo centomila di euro la cifra più alta di sempre. Le ragioni di questa valutazione sono molteplici: la prima è che, insieme ai Beatles , i Queen hanno il numero più alto di canzoni riconoscibili al primo ascolto da chiunque, la seconda è che il biopic Bohemian Rhapsody ha letteralmente spalancato alla musica del gruppo le porte delle nuove generazioni, la terza è che la società che gestisce la musica dei Queen, ovvero la Queen Production Ltd., formata dai tre componenti del gruppo, Brian May, Roger Taylor e John Deacon, e dagli eredi di Mercury, incassa in royalties una media di cinquanta di milioni di dollari l’anno. Un'enormità.

È una business adventure dalle potenzialità infinite quella dell’acquisizione dei cataloghi e dei diritti di somiglianza delle star della musica. Lo dimostra l’ingresso sul mercato di nuovi operatori come la svedese Pophouse Entertainment (tra i fondatori Bjorn Ulvaeus degli Abba), che ha pesantemente investito per finanziare la tecnologia che è alla base degli avatar degli Abba, in scena a Londra da diversi anni, all’insegna del sold out quasi tutti i giorni della settimana. Unire la musica alle potenzialità espressive e visive delle tecnologie più avanzate è l’obiettivo della società di Stoccolma che di recente ha acquisito l’intero repertorio di Cindy Lauper e il catalogo dei Kiss, che in carne ed ossa non si esibiscono più per raggiunti limiti d’età, ma che stanno pianificando il ritorno in versione futuristica con quattro avatar mascherati alti come il Madison Square Garden...

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Panorama