Da Cardiff 2014 all’Aia 2025, un decennio di sfide per l’Alleanza Atlantica. Il punto di Minuto Rizzo

  • Postato il 21 giugno 2025
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Ogni vertice di questa storica organizzazione politico-militare suscita interesse e crea interrogativi. Questa occasione è più speciale di altre per buone ragioni. Viviamo in mondo in cui tutti parlano, ma oggi gli Stati Uniti si muovono in un’offensiva a 360 gradi che tocca sia valori che interessi specifici. Vediamo grande frammentazione, dove l’Asia emerge come il continente del futuro per popolazione e ricchezza, l’Africa diventa per la prima volta un soggetto strategico, pur fra 54 Paesi diversi; l’Europa è un vecchio leone che si interroga se accompagnare un dignitoso declino o ritrovare le capacità della sua storia per affrontare le sfide del futuro. Mentre il Sud del mondo cerca di occupare maggiori spazi. E l’Alleanza? Si tratta della più importante sintesi politico-militare della storia e di un’organizzazione di indubbio successo. Ha un rapporto fra civili e militari unico al mondo che ha il rispetto di tutti, ha unito le maggiori democrazie e possiede la capacità di pianificare e condurre operazioni a grande distanza. Ha protetto l’Europa per diversi decenni, consentendole quel grande sviluppo economico del secondo dopoguerra che è sotto gli occhi di tutti. Con quale futuro? Riassumendo l’ultimo decennio, la migliore sintesi è resilienza. Poiché una struttura così complessa ha mostrato un’insospettabile capacità di evolversi e di adattarsi a mutevoli condizioni, mostrando bene la sua natura operativa, dove le decisioni politiche hanno sempre assecondato questa linea. Chi scrive ricorda che la Nato è guidata dalle necessità e non dalle strategie. In altre parole, si muove nell’ottica del pragmatismo. Il vertice del Galles nel 2014 è coinciso con l’occupazione russa della Crimea ed è la data in cui si è deciso che il dividendo della pace dopo la conclusione della Guerra fredda era ormai scaduto e che le spese dei Paesi membri dedicate alla difesa dovevano essere portate almeno al 2% del Pil. Il vertice di Varsavia del 2016 ha confermato l’obiettivo aggiungendo la presenza a rotazione, sia pur simbolica, di forze dei Paesi membri in quelli di nuova adesione. Ricordiamo che l’adesione degli Stati ex comunisti alla Nato era avvenuta con alcune regole: la non collocazione di armi nucleari nei territori dei nuovi aderenti e la non presenza, se non in maniera simbolica, di Forze armate dei Paesi storici dell’Alleanza. Questo dice chiaramente che si faceva di tutto per indicare alla Russia che l’allargamento non aveva alcuna aggressività nei suoi confronti. Tanto è vero che la Polonia, nel vertice di Varsavia dell’estate 2016, contestò questi principi dicendo che di fatto veniva trattata come un Paese di seconda classe. Fu accontentata solo marginalmente. Per restare sull’argomento, è solo dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa nel febbraio 2022 che le forze dei Paesi della Nato sono state portate in modo sostanziale a est negli Stati di nuova adesione, per fronteggiare eventuali minacce. Per chiudere il tema, non vi è mai stata intenzione minacciosa verso la Russia, né avrebbe avuto alcuna ragione di essere. È legittimo che gli ex Paesi del Comecon, recuperata l’indipendenza, abbiano chiesto di entrare nell’Unione europea e nell’Alleanza Atlantica ritrovando la loro posizione storica. L’unico caso particolare è quello dei Paesi baltici. Nell’ultimo decennio si sono molto sviluppati i partenariati, tanto che oggi si tratta di quaranta Stati, più degli stessi membri a pieno titolo dell’Alleanza. Sono formule diverse a seconda dei casi, spesso simboliche, tutte riconducibili al principio della cooperative security, che ora fa anche parte del Concetto strategico della Nato. Cosa significa? Che si collegano fra loro Paesi anche lontani e diversi, e si allarga così il perimetro della sicurezza internazionale verso una maggiore stabilità. Il concetto usato è quello di proiettare sicurezza a 360 gradi. Da qui, la Partnership for peace, il Mediterranean dialogue e la Istanbul cooperation initiative. Questi partenariati creano consenso ed effettiva cooperazione quando la Nato, nel suo insieme, ne fa una priorità e agisce in modo concreto. Quella che si chiama una strada nei due sensi. Il Medio Oriente, il Sahel e il Sud in genere, sono priorità comprensibili. Da non dimenticare che i rapporti con l’Unione europea sono migliorati con l’andare del tempo e offrono larghe possibilità di cooperazione. Settori strategici su cui è aumentata l’attenzione sono la sicurezza energetica e le alte tecnologie. Temi nuovi dove prevale la sicurezza delle infrastrutture di energia, (compreso il subacqueo) e dove bisogna impegnare nuove tecnologie. Se vogliamo dare un quadro di insieme, senza farne un elenco, la Nato si sta adattando ad affrontare le nuove sfide che comprendono resilienza, informazione, traffico illecito, terrorismo, satellitare e cybersecurity. Temi non da poco, che richiedono un alto grado di consenso e di integrazione, mentre invece la coesione transatlantica è ora in discussione e la direzione non appare chiara a causa dello scossone della nuova amministrazione americana. Gli alleati europei, dopo la sorpresa iniziale, dovrebbero ora presentare una migliore narrazione del proprio ruolo. Le spese per la difesa sono ancora insufficienti, ma va misurato il sostegno politico di alleati sicuri, che ha un valore molto alto. Dopo l’11 settembre le piazze europee si erano affollate in solidarietà; l’articolo 5 della Nato è stato applicato per aiutare gli Stati Uniti; in Afghanistan gli europei hanno dispiegato il 40% dello sforzo complessivo. Tante cose che bisogna far valere di più, perché il futuro richiede stabilità e il rapporto transatlantico ha dimostrato di essere il migliore strumento a disposizione per la sicurezza di tutti.

 

Autore
Formiche

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