Crotone, omicidio sotto i portici: Cortese assolto in appello bis

  • Postato il 10 marzo 2025
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Crotone, omicidio sotto i portici: Cortese assolto in appello bis

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Assolto Giuseppe Cortese per l’omicidio di Stefano D’Arca compiuto ai portici di Crotone. Per il nonno reo confesso pena ormai definitiva


CROTONE – Assolto, nel processo d’appello bis, dall’accusa di concorso anomalo nell’omicidio di Stefano D’Arca, commesso davanti al centralissimo bar Moka, sotto i portici, l’8 marzo 2019. Finisce l’incubo per Giuseppe Cortese, dopo quattro anni di custodia cautelare. La sentenza è stata emessa dalla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro. Ma un anno fa una traccia l’aveva data la Corte di Cassazione che, confermando in via definitiva la condanna per suo nonno Francesco Pezziniti, 81enne, aveva stabilito che era da rifare il processo per il nipote, tra i proprietari del bar in cui era iniziata la lite.

Per Pezziniti è passata ormai in giudicato la pena di 15 anni e 7 mesi di reclusione. Per Cortese i supremi giudici avevano annullato con rinvio la condanna a 10 anni e 8 mesi per concorso anomalo nell’omicidio, in accoglimento della richiesta degli avvocati Francesco Laratta e Ilda Spadafora. La loro tesi è stata accolta nel merito dai giudici nel secondo processo d’appello.

IL PROCESSO

Nel primo processo d’Appello era stata confermata la pena per il nonno e ridotta di soli 4 mesi quella per il nipote, in primo grado condannato a 11 anni, essendo stato escluso, a carico del giovane, il reato di ricettazione dell’arma del delitto. La pena per Cortese era stata più bassa essendo stato ritenuto dai giudici il concorso anomalo nell’omicidio ed essendo stata concessa l’attenuante della provocazione.

Ma adesso il giovane viene scagionato per l’omicidio. La Procura generale aveva chiesto la derubricazione dell’omicidio in minaccia aggravata e quindi proponeva una pena di 2 anni e 4 mesi. I giudici lo hanno condannato soltanto per la detenzione dell’arma a 1 anno e 4 mesi di reclusione (pena sospesa) escludendo la minaccia aggravata. L’anziano, si ricorderà, è reo confesso.

Pezziniti si è attribuita l’esecuzione materiale del delitto, ma l’accusa originaria era quella di concorso in omicidio per entrambi, e per il giovane in qualità di istigatore, con i connessi reati in materia di armi (per Pezziniti anche di detenzione illegale di una seconda pistola e delle relative cartucce). La Corte non ha stabilito risarcimenti per i familiari della vittima, per i quali si erano costituiti parte civile gli avvocati Fabrizio Gallo, Mario Nigro, Emanuele Procopio.

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LA VICENDA

La vicenda è nota. D’Arca, vecchia conoscenza delle forze dell’ordine (nel suo passato ci sono episodi di tentata estorsione, lesioni, violenza privata), avrebbe dato fastidio nel locale. La lite tra D’Arca e Cortese sarebbe degenerata alla chiusura perché il primo, cliente abituale che spesso pare non pagasse e offrisse anche consumazioni gratis ai propri amici, avrebbe molestato gli avventori. Inoltre, avrebbe danneggiato una zuccheriera, il bancone e una vetrina da cui aveva prelevato una bottiglia.

Giuseppe Cortese chiama il padre Luciano che, con l’ausilio di alcuni dipendenti, separa il figlio e D’Arca, ma neanche lui riesce a riportare la calma. A quel punto il giovane chiama il nonno, che abita a due passi da lì ed è il titolare dell’hotel Concordia. Preleva una pistola in uno sgabuzzino e torna sul posto. Il ragazzo a quel punto affronta D’Arca che con atteggiamento di sfida dice al giovane che non avrà il coraggio di sparare.

Il nonno sostiene di aver impugnato lui l’arma e di aver sparato. Sette i colpi partiti da quella maledetta calibro 7,65 con la matricola abrasa, cinque dei quali raggiunsero al petto D’Arca, che morirà in ospedale poco dopo. Il nonno chiama l’ambulanza del 118 e la polizia, che gli sequestra a casa un’altra pistola clandestina. La vicenda fu ricostruita rapidamente dalla Squadra Mobile della Questura grazie alla visione di immagini registrate dalla videosorveglianza.

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«La sentenza pone fine a una triste vicenda – commenta l’avvocato Laratta – visto che, a fronte di un’imputazione di omicidio, resta soltanto in piedi l’accusa di aver portato l’arma ma viene concessa la sospensione condizionale della pena. Inutile dire – conclude il legale – che oggi la soddisfazione è enorme. Ma il mio assistito ha fatto quattro anni di custodia cautelare».

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