Criptovalute, l’anno prossimo l’aliquota sulle plusvalenze sale al 33%. Resta al 26% per le stablecoin in euro
- Postato il 21 ottobre 2025
- Speciale Legge Di Bilancio
- Di Il Fatto Quotidiano
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Nella bozza della legge di Bilancio 2026 spunta una misura che segna un cambio di rotta nella politica fiscale sulle criptovalute. All’articolo 13 il governo introduce un’aliquota ridotta del 26% sulle plusvalenze e gli altri proventi derivanti da token di moneta elettronica denominati in euro, al posto di quella ordinaria del 33% prevista a partire dal prossimo anno per tutte le cripto-attività. La norma è riferita agli “electronic money tokens” definiti dal regolamento europeo Markets in Crypto-Assets. Si tratta delle stablecoin ancorate a una valuta fiat e sostenute da riserve equivalenti depositate presso intermediari regolamentati. In parallelo viene istituito un Tavolo permanente di controllo e vigilanza sulle cripto-attività, che coinvolgerà ministero dell’Economia, Guardia di Finanza, Consob, Banca d’Italia, Unità di informazione finanziaria e rappresentanti del settore.
La svolta sarà all’inizio virtuale perché ad oggi in Italia non esistono emittenti nazionali autorizzate che offrano una stablecoin ancorata all’euro. Lo scorso settembre un consorzio di nove banche europee, tra cui le italiane UniCredit e Banca Sella, ha però annunciato l’intenzione di lanciarne una dalla seconda metà del prossimo anno. Il Carroccio comunque si porta avanti e rivendica il proprio marchio politico sulla decisione. “Grazie all’impegno della Lega, l’Italia si allinea ai trend monetari globali e si pone al centro dello scacchiere mondiale che si è formato a seguito dell’emanazione del Genius Act da parte dell’amministrazione Usa”, scrive in una nota il capogruppo in commissione Finanze della Camera, Giulio Centemero. La riduzione al 26% riguarda però solo le stablecoin ancorate all’euro, che rappresentano una quota minima del mercato. Per tutte le altre cripto, dalle più note come Bitcoin ed Ethereum fino alle stablecoin in dollari come USDT o USDC, resta l’aumento al 33% fissato dalla legge di Bilancio per il 2025.
Un anno fa, nella prima bozza di quella legge, era circolata l’ipotesi di una tassazione al 42% sulle plusvalenze da cripto-attività, poi accantonata dopo una levata di scudi bipartisan e la protesta delle associazioni del settore. Alla fine si era deciso di uniformare la tassazione delle cripto a quella dei redditi finanziari e da capitale (26%), superando la vecchia franchigia di 2.000 euro e prevedendo una possibilità di “affrancamento” al 18% sul valore al 1° gennaio 2025. Ma aveva disposto che dal 2026 si passasse al 33%. L’intervento 2026 rappresenta quindi una correzione parziale: non smonta la stretta fiscale introdotta dal governo Meloni lo scorso anno, ma introduce una deroga selettiva a vantaggio di una nicchia di strumenti digitali che l’Europa assimila alla moneta elettronica tradizionale. In pratica, una distinzione fra criptovalute “stabili e regolamentate” e il resto del mercato.
Il richiamo al Genius Act statunitense è tutto politico. La legge Usa ha fissato regole federali per gli emittenti di stablecoin di pagamento, stabilendo requisiti di riserva, licenze bancarie e vigilanza prudenziale. Nulla di tutto ciò compare nella manovra italiana, che interviene solo sul piano fiscale, senza istituire un quadro regolatorio per gli operatori o un’autorità dedicata.
Dal punto di vista delle finanze pubbliche, l’impatto sarà minimo: il mercato delle stablecoin in euro è ancora ridotto – circa 620 milioni di dollari per l’intero segmento euro-pegged, secondo Bankitalia – e dominato da operatori esteri. Tuttavia la misura apre un precedente: lo Stato riconosce un trattamento fiscale differenziato a seconda della “qualità” della cripto-attività, premiando quella più stabile e tracciabile. In prospettiva, potrebbe essere il primo passo verso una tassazione modulata sulla rischiosità o sul livello di compliance, un approccio che l’Unione europea sta valutando anche per i mercati finanziari tradizionali.
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