Criminalizzare il dissenso è un errore gravissimo: vale sia per il riarmo che per le politiche pandemiche
- Postato il 14 aprile 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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di Sara Gandini e Paolo Bartolini
L’ottima riuscita della piazza convocata il 5 aprile dal Movimento 5 Stelle, a cui hanno partecipato anche tanti cittadini e cittadine esterni a questo partito, e diverse realtà autonome impegnate culturalmente e politicamente in una critica profonda del neoliberalismo di guerra, solleva la delicata questione di un ampio fronte democratico antiliberista e per la pace (dunque antiautoritario per eccellenza). La nostra sensazione è che sarebbe utile, a tutti i protagonisti di questa ribellione allo stato nascente, collegare i fili che uniscono l’attuale corsa al riarmo europea con le politiche di governance della pandemia/sindemia.
Per anni le polarizzazioni alimentate ad arte dai mass media e sui social, hanno impedito di mettere a fuoco la centralità simbolica e materiale di quanto accaduto nel periodo 2020-2022. In Italia, e non solo, abbiamo assistito a un esperimento poderoso di criminalizzazione del dissenso, operato in nome del “rischio zero” e della salute pubblica.
La democrazia è stata ampiamente disattivata, partendo certo da un’emergenza reale, a cui però i governi hanno risposto in maniera durissima, silenziando il dibattito e dividendo i cittadini in una maggioranza di docili esecutori degli ordini provenienti dall’alto e in una minoranza di abietti disertori da punire con la sospensione di alcuni diritti costituzionali. Un movimento per la pace, per un mondo multipolare dove la diplomazia abbia un ruolo decisivo, e per la giustizia sociale ed ecoclimatica, non può a nostro avviso trascurare quanto avvenuto durante il caos pandemico.
Diversamente dalle letture più paranoiche, ciò a cui abbiamo assistito nella fase Covid, non è stato un tentativo di “azzeramento” delle libertà individuali guidato da un piano di costrizione coordinato su scala globale. Il disagio provocato dagli eccessivi lockdown generalizzati (con gli effetti negativi che sappiamo, soprattutto sui giovanissimi) e da una campagna vaccinale rigida, paternalistica e non calibrata tenendo conto delle fasce di età e di rischio della popolazione, ha saturato la percezione collettiva.
La critica alla devastazione del sistema sanitario pubblico, al pilota automatico neoliberale che trasforma ogni crisi in opportunità di profitto per i soggetti privati e all’uso propagandistico dei mezzi di informazione, è stata indebolita dagli scontri ideologici intorno al vaccino (che è stato utile per alcune categorie di persone e inutile o potenzialmente dannoso per altre) con il risultato di dividere le persone in tifoserie antagoniste e incomunicanti.
Quel che dobbiamo cogliere, invece, pensando anche alle contrapposizioni nate a seguito dell’invasione russa in Ucraina, è la logica di gestione del dissenso che dal 2020 in poi è stata adottata dalle élite. L’esplosione della confusione pandemica ha permesso di esercitare l’arte della dissoluzione del pensiero critico, indispensabile per un tecno-capitalismo che sa benissimo di avere dinnanzi a sé molteplici emergenze da gestire (sanitaria geopolitica, democratica, ecologica…).
Mentre i politici si arrangiavano goffamente, e non senza arrecare danni, a contenere la circolazione del virus, l’esperimento del potere è stato quello di garantire a ogni costo la tenuta complessiva di una narrazione che punta a stabilizzare queste linee direttrici (già presenti da molti anni, ben prima dell’irruzione di Sars-Cov-2 nelle nostre vite): digitalizzazione integrale delle nostre vite, svendita del patrimonio pubblico e dei servizi gratuiti da sostituire con servizi privati a pagamento, militarizzazione delle azioni di fronteggiamento delle emergenze, cancellazione quasi totale del dibattito sulle diseguaglianze sociali e sui modi alternativi per affrontare le crisi. Appellativi come “no-vax”, “putiniani” e simili, sono stati usati come clave per intimidire ogni opinione divergente.
Quando l’ordine precario di una civiltà ossessionata dal denaro, dal culto dell’innovazione tecnologica e dalla potenza scricchiola, i vari livelli dell’establishment si attivano per impedire che, dalle macerie, possano sorgere un pensiero e una pratica che ci conducano fuori dal recinto neoliberale, filo-atlantista e iper-tecnologico in cui siamo immersi. Le recenti politiche di riarmo europee, unite localmente ai decreti “sicurezza” che mandano all’aria l’ultima parvenza liberale delle nostre post-democrazie, convergono verso una necessità sistemica che non c’entra con trame oscure ed eminenze grigie dietro le quinte: abolire gradualmente tutti i contrappesi costituzionali rimasti, per far sì che il piano di integrazione/formattazione delle moltitudini al servizio di Big Tech, Big Pharma e del comparto industriale-militare possa attuarsi senza ostacoli.
Aver trascurato, o persino ridicolizzato, il tema del dissenso alle politiche pandemiche è stato un errore gravissimo che accomuna la maggioranza delle forze che erano presenti nella splendida piazza di Roma il 5 aprile. E’ ora di riunire i tasselli del mosaico e mostrare che dal 2020 ad oggi gli errori di valutazione fatti a “sinistra” hanno rallentato la costruzione di un fronte alternativo all’unico vero campo largo che esiste in Italia: quello che va dal Pd alla Meloni e a Salvini. In conclusione, dobbiamo liberarci delle etichette e delle squalificazioni reciproche che hanno impedito di ragionare e agire insieme per una trasformazione solidale e consapevole dell’esistente.
Anche da qui dovrebbe ripartire il dialogo per rilanciare una resistenza nonviolenta e creativa ai deliri guerrafondai dell’odierna Ue e ai populismi eversivi che proliferano in queste fasi storiche.
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