Crack a domicilio, il tassista indagato: “Subito pensavo vendesse altro, lavoravo di notte per accudire i miei genitori”

  • Postato il 20 novembre 2025
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  • Di Genova24
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Forze dell'ordine e mezzi di trasporto

Genova. “Lavoravo di notte perché di giorno dovevo accudire i miei genitori, anziani e malati. E’ vero che conoscevo quel pusher e l’ho spesso accompagnato ma pensavo all’inizio che commerciasse in prodotti senegalesi”. Così ha provato a difendersi davanti alla gip Nicoletta Guerrero, il tassista genovese di 46 anni di cui le pm Francesca Rombolà e Monica Abbatecola hanno chiesto l’arresto nell’ambito della maxi inchiesta della polizia locale sul crack a domicilio consegnato a mezza Genova da una banda molto ben organizzata composta soprattutto da senegalesi

Quello del tassista, difeso dall’avvocato Mario Iavicoli, è l’unico interrogatorio preventivo chiesto dalla Procura – in base alla nuova norma che prevede di interrogare gli indagati prima di eseguire una misura cautelare per la maggior parte dei reati – perché per lui non sussiste il pericolo di fuga. Gli altri membri della banda, tutti stranieri, sono stati invece tutti arrestati proprio perché c’era il rischio di fuga ed, effettivamente, delle 20 misure cautelari ne sono state eseguite solo 13 perché gli altri sono risultati irreperibili.

4mila i messaggi scambiati con il pusher, ma il tassista non risponde alle domande

Il tassista non è accusato di associazione per delinquere ma a suo carico di sono sei capi di imputazione e soprattutto ci sono quasi 4 mila messaggi whatsapp scambiati in un anno con uno con uno degli spacciatori che avevano il compito di consegnare la droga in orari notturni, oltre ad alcuni servizi di pedinamento che ne accertano la presenza in occasione delle consegne a domicilio.

Il tassista non ha voluto rispondere alle domande di pm e giudice, ma ha rilasciato dichiarazioni spontanee: “Ho conosciuto Milk (il soprannome – conosciuto dai clienti – di uno degli arrestati, ndr) perché mi cercava direttamente per effettuare delle corse. All’inizio pensavo commerciasse in qualche prodotto locale del suo Paese, poi dopo che ho saputo che era stato arrestato, ho avuto qualche sospetto ma non ho approfondito”.  Il tassista ha detto che lui non aveva nulla a che vedere con lo spaccio e ha fatto capire che non aveva idea che comunque il fatto di portare qualcuno in taxi potesse costituire un reato.

Adesso la giudice Guerrero dovrà decidere se accogliere per lui la richiesta della custodia cautelare in carcere, oppure valutare una misura più attenuata, già scelta per alcuni degli indagati con un ruolo minore. Quasi tutti altri arrestati davanti al gip si erano tutti avvalsi della facoltà di non rispondere.

Il crack su chiamata arrivava in ogni quartiere e fino al Tigullio

L’inchiesta ha appurato che richieste “a chiamata” per la consegna della droga arrivano da da Nervi a Voltri, da Castelletto a Carignano, Oregina, Struppa, ma anche il Tigullio: nessun quartiere escluso, ad eccezione del centro storico e in particolare della zona di via Pré, esplicitamente vietata dal capo della banda perché “territorio di altri“ spacciatori.

C’era chi cucinava il crack, chi organizzava gli spacciatori, rigorosamente su quattro turni, chi si occupava dei contatti con i fornitori, chi guidava l’auto dello spaccio a domicilio, con il passeggero che scendeva per la consegna. Quando l’auto non era a disposizione le consegne erano fatte in taxi.

Lo spaccio, d’altronde, andava avanti con lo stesso sistema da anni. Almeno dalla fine del 2022, quando è cominciata l’indagine della polizia locale (allora guidata da Gianluca Giurato e oggi portata avanti dal nuovo comandante Fabio Manzo) sulla base di una segnalazione dopo che un uomo di etnia centro-africana era stato notato uscire tutte le sere  da un civico di via Piacenza per salire in auto e fare consegne in tutta la città. I poliziotti della locale quell’auto hanno cominciato a osservarla, poi hanno piazzato un localizzatore gps e ancora una cimice che ha cominciato a riprendere le consegne. L’indagine è durata due anni e un’altro c’è voluto per trasformare il copioso materiale in una richiesta di misura cautelare per una ventina di persone, accusate quasi tutte di associazione per delinquere finalizzata allo spaccio.

I clienti “fideizzati” e i turni di lavoro: di notte a domicilio, di giorno in strada

L’organizzazione era dotata di utenze di servizio dove i clienti ‘fideizzati’ (con i numeri registrati in rubrica) chiamavano per ordinare la loro dose. I telefoni venivano passati a uno spacciatore all’altro al termine del turno di lavoro. Ogni cliente aveva uno-due spacciatori di fiducia, con cui aveva un rapporto consolidato: la droga non mancava mai e arrivava puntuale, e in cambio talvolta se il cliente era senza contanti poteva lasciare in pegno degli oggetti. In alcuni casi alcuni clienti venivano usati come cavie per testare nuove partite di droghe e in quel caso la dose era gratis, e talvolta la dose poteva essere pagata con una prestazione sessuale.

Di notte la droga veniva esclusivamente consegnata a domicilio, con il passeggero che teneva le dosi in bocca per poterle ingoiare in caso di controlli. Il cliente scendeva di casa in piena notte, entrava nell’auto per lo scambio e via. Di giorno invece lo spaccio era più tradizionale, per strada, il posti non lontani dalle cucine-laboratorio, collocate in diversi quartieri, utilizzando i tradizionali imboschi in giardini pubblici o muretti a secco per tirare fuori solo lo stretto necessario al momento dell’arrivo del clienti.

Autore
Genova24

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