Così si è costruita la tempesta perfetta per la catastrofe degli esami filtro a Medicina
- Postato il 13 dicembre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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La catastrofe culturale conseguente alla riforma dell’accesso ai Corsi di Laurea a numero programmato in Medicina e Chirurgia, Medicina Veterinaria e Odontoiatria si sta manifestando con l’esito degli esami di ammissione; una ragione del disastro sta nell’imposizione dall’alto di metodi e tempistiche inadatti al loro scopo.
Nel semestre cosiddetto aperto, preliminare agli esami di ammissione, le lezioni delle tre materie previste (Fisica Medica, Chimica e Propedeutica Biochimica e Biologia) si svolgevano tra l’inizio di settembre e la fine di ottobre. Le date prestabilite per le due prove di esame, coincidenti su tutto il territorio nazionale, erano il 20 novembre e il 10 dicembre. Poiché ciascun corso aveva un carico didattico assegnato di 6 crediti formativi, ciascuno dei quali corrisponde a 25 ore di impegno dello studente “medio”, la metà delle quali in aula, è facile calcolare che l’impegno previsto era di 450 ore di studio.
Questo impegno, oltre ad essere molto gravoso, era basato su una tempistica coercitiva che non lasciava allo studente margini per organizzare lo studio nel modo da lui preferito. Ancora più coercitiva era la pretesa che si dovessero sostenere tre esami nello stesso giorno, consecutivamente, con un quarto d’ora di intervallo tra l’uno e l’altro.
Ogni docente (come ogni ex studente) sa che la maggioranza degli studenti universitari, se appena ha la libertà di scegliere come organizzare e pianificare i suoi esami, evita di prevedere due esami nello stesso giorno, e cerca invece di distanziarli il più possibile nel corso della sessione. Lo studente ha bisogno di alcuni giorni prima di ciascun esame per ripassare la materia e mette in atto il “chiusone”, così chiamato perché nei giorni che precedono l’esame si rifiutano feste, inviti, cinema, partite di calcetto e altre distrazioni e ci si concentra invece nello studio. Il calendario ministeriale non consente questa modalità: in primo luogo le lezioni (obbligatorie) finivano piuttosto a ridosso delle date di esame; in secondo luogo un chiusone di lunghezza triplicata, necessario per sostenere tre esami, risulta insostenibile.
Il secondo caposaldo della preparazione dello studente medio è la “sbobina”, che si pratica in genere in gruppo: uno studente a turno registra la lezione del docente col telefonino e ne prepara un trascritto; la somma dei trascritti costituisce la guida allo studio e per gli argomenti trattati con maggiore dettaglio dal docente può arrivare a sostituire il libro di testo. Alcuni di noi forniscono direttamente i trascritti, per evitare errori di interpretazione. La sbobina, come il chiusone, può non essere un metodo di studio ideale, ma in genere funziona perché gli argomenti di maggiore rilevanza per il corso, spiegati con maggiore dettaglio, sono anche quelli più importanti per l’esame.
La riforma introdotta quest’anno dal Mur prevedeva che gli esami si svolgessero su quesiti identici a livello nazionale e preparati da una commissione ministeriale, della quale non facevano parte i docenti che tenevano i corsi. Agli studenti che ci chiedevano come sarebbe stato l’esame, non potevamo dare altra risposta che di guardare le norme pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale, perché non saremmo stati noi a preparare le domande di esame.
Infine, per completare la costruzione della tempesta perfetta, la riforma utilizza gli esami come prove di ammissione; mentre nelle prove concorsuali usuali la graduatoria si basa sui punteggi ottenuti dai candidati qualunque essi siano, negli esami esiste una soglia di sbarramento data dalla sufficienza: chi non ha la sufficienza nelle tre materie non entra in graduatoria; questo fa sì che soltanto una minima percentuale dei candidati appaia meritevole. Il metodo precedentemente in vigore prevedeva un concorso di ammissione preliminare su argomenti di logica o tratti dai programmi di liceo, costruiva una graduatoria senza limiti di sufficienza e non pregiudicava il successivo svolgimento dei corsi e la preparazione agli esami universitari.
E’ possibile imporre ad uno studente universitario, del quale noi cerchiamo di valorizzare l’autonomia e l’iniziativa, un sistema rigido, nel quale i suoi strumenti preferiti, chiusone e sbobina, sono vanificati e l’accesso alla graduatoria di ammissione prevede una soglia di punteggio? Chi ha il potere, e l’arroganza necessaria, può imporre molte cose, ma i risultati dell’attività imposta saranno inferiori, spesso molto inferiori, a quelli che si sarebbero ottenuti se si fosse lasciata allo studente una maggiore libertà: obbligare qualcuno a lavorare in un modo piuttosto che in un altro non porta mai al risultato migliore che quel qualcuno potrebbe produrre.
Inoltre, poiché lo studente lavora per se stesso, ottenere una preparazione peggiore in un esame di ammissione costruisce un debito formativo che lo studente, se ammesso, dovrà poi colmare.
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