Così il Regno Unito trasforma la difesa in motore di potenza economica

  • Postato il 9 settembre 2025
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La difesa come motore di crescita economica e leva geopolitica. È l’assunto da cui parte la nuova Defence Industrial Strategy 2025 del governo britannico, il documento che ridisegna la relazione tra Forze Armate, industria e politica estera in un’epoca di minacce crescenti. Dietro i numeri, il più grande aumento sostenuto di spesa militare dalla fine della Guerra fredda, con obiettivo 2,6% del Pil entro il 2027 e ambizione di arrivare al 3% nella prossima legislatura, ed un cambio di paradigma: Londra vuole fare della propria base industriale di difesa il cuore pulsante della sicurezza nazionale e della proiezione internazionale del Regno.

Da Kyiv la lezione del conflitto ad alta intensità

La guerra in Ucraina ha agito da catalizzatore. Carenze di munizioni, fragilità delle catene di fornitura, lentezze nel procurement hanno mostrato quanto la capacità di resistenza di uno Stato dipenda dalla solidità della sua industria. “Le nostre Forze Armate sono forti quanto l’industria che le sostiene”, si legge nel documento. Da qui la scelta di considerare il comparto difesa non più come un costo ma come un investimento, una leva economica per la crescita interna e per l’influenza esterna.

Procurement e governance

Il nodo centrale resta il procurement, tradizionalmente tallone d’Achille di Whitehall. La strategia introduce la figura di un National Armaments Director, con pieni poteri su tutto il ciclo di acquisizione. L’obiettivo è ridurre drasticamente i tempi. Da sei a due anni per le grandi piattaforme, da tre a uno per gli upgrade modulari, e appena tre mesi per l’immissione di nuove tecnologie commerciali a doppio uso, come droni o software di comando e controllo.

Innovazione a “ritmo di guerra”

Altro cardine è l’innovazione. La lezione del Donbass è che la guerra contemporanea evolve a velocità vertiginosa. Londra vuole replicare questo wartime pace nelle proprie industrie. Con la creazione di Uk Defence Innovation (UKDI), il governo stanzia 400 milioni di sterline l’anno per finanziare settori emergenti come l’intelligenza artificiale, sistemi autonomi, quantum, spazio e cyber. L’obiettivo è di destinare almeno il 10% della spesa complessiva per il procurement a tecnologie innovative già dal prossimo anno fiscale.

Export e diplomazia industriale

Non c’è solo la dimensione interna. Il Regno Unito intende riaffermarsi come hub di esportazione militare europeo. Per questo nasce l’Office of Defence Exports, che centralizza la politica export sotto il controllo diretto del ministero della Difesa. Non più logica transazionale, ma accordi strutturali governo-a-governo: dalla cooperazione con la Polonia sul sistema missilistico Narew, alla vendita di fregate Type 26 alla Norvegia, fino agli accordi con Kyiv per la fornitura di missili LMM.

La difesa diventa così anche strumento di politica estera e costruzione di alleanze.

Al centro della strategia c’è la protezione delle filiere vitali. Londra individua settori da considerare di “sovranità industriale”: deterrenza nucleare, subacquei, cantieristica, munizionamento complesso, crittografia. L’attenzione si estende anche alle materie prime critiche. Semiconduttori, terre rare, acciai speciali, energetici.

Non a caso, il governo ha favorito l’acquisizione della Octric Semiconductors di Durham, unica realtà nazionale capace di produrre chip a base di arseniuro di gallio, indispensabili per radar e velivoli da combattimento.

Geopolitica industriale. Lavoro e competenze

La strategia ha anche un volto sociale. Con i Defence Growth Deals, Londra investirà in distretti regionali specializzati. Cantieristica in Scozia, cyber a Belfast, materiali avanzati nello Yorkshire, autonomia marittima a Plymouth. L’obiettivo? Creare occupazione qualificata e legare la crescita locale all’industria della difesa. A questo si aggiunge la campagna Destination Defence, pensata per ridurre il gap di competenze e formare ingegneri, tecnici, programmatori, saldatori. Una nuova generazione di lavoratori al servizio del comparto più strategico del Paese.

La cooperazione industriale è anche geopolitica e segue l’approccio Nato first, integrando le filiere tra alleati per rendere la logistica di guerra più coesa. Come, ad esempio, il programma Global Combat Air Programme (Gcap) con Italia e Giappone per il caccia di sesta generazione, la partnership con gli Stati Uniti e l’Australia nell’Aukus, l’integrazione delle filiere per la produzione di munizioni con gli alleati baltici e polacchi. Se si combatte insieme, bisogna anche produrre insieme e rafforzare così industria, supply chain, occupazione qualificata e deterrenza comune.

Autore
Formiche

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