Cosa cambia per le corsie ciclabili

  • Postato il 12 aprile 2025
  • Info Utili
  • Di Virgilio.it
  • 2 Visualizzazioni

Le corsie ciclabili sono tratti di carreggiata stradale delimitati da semplici strisce bianche continue o tratteggiate sull’asfalto, accompagnate da pittogrammi di biciclette. A differenza delle piste ciclabili, che sono invece separate fisicamente dal flusso veicolare attraverso cordoli, aiuole, barriere o dislivelli, le corsie ciclabili condividono parte dello spazio stradale con gli altri utenti, soprattutto nei contesti urbani a traffico misto.

Questo le rende meno invasive dal punto di vista urbanistico ma anche meno sicure, soprattutto nei contesti ad alta densità di traffico motorizzato. La loro diffusione è stata sostenuta da molti Comuni negli anni recenti come forma rapida, economica e visibile per incentivare l’uso della bicicletta come mezzo di trasporto quotidiano, specie in aree centrali.

Corsie ciclabili, una riforma che cambia l’approccio progettuale

La riforma del Codice della Strada ha introdotto un cambio di paradigma nella realizzazione di corsie ciclabili, andando a limitare un meccanismo che, fino ad allora, era stato reso più agile dalla legge 120 del 2020. Con le nuove disposizioni, la possibilità per le amministrazioni comunali di disegnare corsie ciclabili diventa subordinata alla dimostrazione dell’impossibilità di realizzare una pista ciclabile.

In pratica le corsie non sono più considerate uno strumento flessibile e autonomo di promozione della mobilità sostenibile, ma sono degradate a soluzione residuale, da adottare solo in mancanza di alternative progettuali più sicure. Si tratta di un cambiamento che incide sulla pianificazione urbana e  riduce l’autonomia locale e imponendo nuove valutazioni tecniche.

Criteri di sicurezza più rigorosi e vincoli progettuali

Oltre alla riduzione delle casistiche applicabili, la nuova normativa impone criteri di sicurezza più stringenti per la realizzazione delle corsie ciclabili. Ogni intervento dovrà dimostrare la compatibilità con il traffico veicolare, l’idoneità della carreggiata e la capacità del sistema di garantire protezione effettiva per l’utenza ciclabile. In particolare, le amministrazioni dovranno fornire valutazioni ingegneristiche puntuali, studi di impatto sul traffico e progetti dettagliati.

L’adozione di corsie ciclabili diventa quindi un’operazione complessa, tecnicamente onerosa e soggetta a una successiva approvazione da parte del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che dovrà emanare appositi regolamenti attuativi per definire nel dettaglio le modalità operative.

Fine delle corsie promiscue, stop a bus e bici nello stesso spazio

Uno degli aspetti più contestati della riforma riguarda la revoca della possibilità di realizzare corsie promiscue bus-bici. In molte città italiane, specie nei centri storici, erano state create corsie riservate ai mezzi pubblici e aperte anche ai ciclisti, in un’ottica di razionalizzazione degli spazi e di promozione di una mobilità alternativa.

La riforma elimina questa opzione, salvo specifiche deroghe regolamentate. Questo cambiamento limita le strategie urbane per rendere le strade più accessibili a tutti gli utenti vulnerabili e rischia di ridurre gli spazi fruibili per chi pedala, in particolare nelle zone ad alta intensità di trasporto pubblico.

In diversi Paesi europei, come i Paesi Bassi, la Germania e la Francia, l’uso delle corsie ciclabili su carreggiata promiscua è largamente diffuso e regolamentato con criteri di sicurezza ben codificati. In Italia il legislatore ha scelto un approccio più restrittivo, differenziandosi dai modelli continentali che valorizzano soluzioni intermedie per l’integrazione della mobilità ciclabile nelle infrastrutture esistenti.

Incertezza normativa e rallentamenti per i Comuni

In attesa dei decreti attuativi da parte del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, le amministrazioni comunali si trovano ora in una situazione di incertezza normativa. Senza linee guida precise, ogni nuovo progetto rischia di non essere autorizzato, bloccando investimenti e piani di mobilità già approvati. Questa situazione genera un effetto paralizzante, con impatti sulla programmazione delle infrastrutture ciclabili, che in Italia sono già in forte ritardo rispetto agli standard europei. I tecnici comunali faticano nel frattempo a fornire risposte ai cittadini, in particolare in quelle città dove la domanda di ciclabilità urbana è in forte aumento.

Molto del destino delle corsie ciclabili dipenderà dai regolamenti attuativi che il MIT pubblicherà nei prossimi mesi. Saranno questi documenti a chiarire i margini di applicazione, le deroghe ammesse e i criteri tecnici da rispettare. Fino ad allora, è possibile che molte amministrazioni evitino di approvare nuovi tracciati ciclabili, per paura di vederli bocciati o non finanziati. Una situazione che rischia di congelare l’evoluzione della mobilità urbana sostenibile.

Le critiche delle associazioni ciclistiche

Organizzazioni come Fiab, Legambiente e altre realtà che promuovono la mobilità dolce hanno espresso preoccupazione per gli effetti della riforma. Secondo queste associazioni, la cancellazione della corsia ciclabile come strumento autonomo e snello penalizza chi si sposta in bici, in particolare nei piccoli Comuni o nei quartieri periferici dove la costruzione di piste ciclabili protette non è tecnicamente o economicamente sostenibile.

Per i ciclisti, la corsia tracciata sull’asfalto era un compromesso tra sicurezza, visibilità e costi ridotti. Impedirne la realizzazione se non in casi eccezionali, secondo loro, significa di fatto tornare indietro rispetto ai piccoli progressi ottenuti negli ultimi anni.

Le piste ciclabili restano lo standard, ma sono più complesse

Le piste ciclabili sono riconosciute come la forma più sicura di infrastruttura per chi si muove in bicicletta. La loro progettazione è molto più complessa e costosa. Richiedono spazio, modifiche strutturali, interventi sui marciapiedi, riduzione delle carreggiate e spesso lavori lunghi e invasivi. In un contesto urbano già congestionato e vincolato da regolamenti edilizi, la pista ciclabile non sempre è praticabile. È  in questo vuoto progettuale che le corsie ciclabili si erano inserite con una soluzione intermedia.

Un rallentamento che frena la mobilità sostenibile

La riforma può causare un rallentamento generale nella diffusione della mobilità ciclabile, proprio mentre le grandi città italiane stanno cercando di ridurre la dipendenza dal mezzo privato motorizzato. In assenza di percorsi sicuri, ben segnalati e dedicati, molti cittadini possono scegliere di non utilizzare la bici, soprattutto per spostamenti sistematici come il tragitto casa-lavoro o casa-scuola. L’effetto sul lungo periodo rischia di essere contrario agli obiettivi dichiarati di sostenibilità ambientale e di riduzione del traffico urbano.

Secondo i sostenitori della riforma, l’intento è garantire standard di sicurezza più alti senza che le corsie ciclabili diventino solo simboliche e quindi pericolose. Il risultato rischia di essere uno sbilanciamento normativo, che favorisce i grandi centri urbani ma penalizza i territori più fragili o meno attrezzati dal punto di vista tecnico e finanziario.

Autore
Virgilio.it

Potrebbero anche piacerti