Cosa cambia per la giustizia climatica dopo la storica sentenza della Cassazione contro Eni
- Postato il 1 agosto 2025
- Ambiente
- Di Il Fatto Quotidiano
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Un fondamentale allargamento dei diritti collettivi in fatto di tutela personale, ambientale e sanitaria. Questo lo straordinario effetto del pronunciamento delle Sezioni Unite della Cassazione, pubblicato lo scorso 21 luglio, arrivato a seguito di un ricorso di Greenpeace Italia, ReCommon e dodici cittadini e cittadine italiani presentato nel luglio 2024.
Nel maggio 2023, Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadine e cittadini italiani avevano presentato “La Giusta Causa”, un contenzioso civile nei confronti di Eni, di Cdp e del Mef – questi ultimi due enti in qualità di azionisti che esercitano un’influenza dominante su Eni – per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui il colosso italiano del gas e del petrolio ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone pienamente consapevole.
Eni, Cdp e Mef avevano eccepito “il difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario adito”, ritenendo che nel nostro Paese una causa climatica non fosse procedibile. Greenpeace Italia, ReCommon e le cittadine e cittadini che hanno promosso la “Giusta Causa” hanno dunque fatto ricorso per regolamento di giurisdizione alla Suprema Corte, a cui hanno chiesto un pronunciamento in via definitiva. Il verdetto delle Sezioni Unite della Cassazione, pubblicato a fine luglio, ha infine dato ragione a cittadine, cittadini e organizzazioni.
Cosa cambia ora in concreto dopo questa sentenza? Il responso della Suprema Corte sancisce senza ombra di dubbio che i giudici italiani si possono pronunciare sui danni derivanti dal cambiamento climatico sulla scorta tanto della normativa nazionale, quanto delle normative sovranazionali e che, dunque, le cause climatiche nel nostro Paese sono lecite e ammissibili anche in termini di condanna delle aziende fossili a limitare i volumi delle emissioni climalteranti in atmosfera. La Cassazione ribadisce anche che un contenzioso climatico come quello intentato da Greenpeace Italia e ReCommon non è affatto un’invasione nelle competenze politiche del legislatore o della libera iniziativa economica delle aziende, quali Eni. La tutela dei diritti umani fondamentali di cittadine e cittadini minacciati dall’emergenza climatica è superiore a ogni altra prerogativa e da oggi sarà possibile avere giustizia climatica anche nei tribunali italiani.
Inoltre, le Sezioni Unite chiariscono che i giudici italiani sono competenti anche in relazione alle emissioni pericolose per il clima emesse dalle società di Eni presenti in Stati esteri: sia perché gli attori subiscono i danni in Italia; sia perché le decisioni strategiche sono state assunte dalla società capogruppo che ha sede in Italia; sia perché, infine, l’alterazione climatica non conosce confini ed i suoi effetti sono globali.
Un verdetto che avrà dunque impatto su tutte le cause climatiche in corso o future in Italia, da oggi ammissibili, rafforzando la protezione dei diritti umani legati alla crisi climatica, già riconosciuti dalla Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU). Questa sentenza storica dice chiaramente che anche in Italia si può avere giustizia climatica. Greenpeace Italia e ReCommon attendono ora che il giudice ordinario a cui spetta tornare a decidere su “La Giusta Causa” entri nel merito.
Nessuno, nemmeno un colosso come Eni, può più sottrarsi alle proprie responsabilità. I giudici potranno finalmente esaminare nel merito “La Giusta Causa”: le realtà fossili che inquinano e contribuiscono in modo decisivo al peggioramento della crisi climatica devono rispondere delle proprie azioni.
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