Controllo aereo sull’Iran. Cosa significa la rivendicazione di Israele
- Postato il 15 giugno 2025
- Difesa
- Di Formiche
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Le Forze di Difesa Israeliane (Idf) hanno annunciato sabato di aver ottenuto piena libertà operativa nello spazio aereo intorno a Teheran, capitale dell’Iran. È una informazione che se confermata è molto importante. Il portavoce delle Idf, il brigadier general Effie Defrin, ha dichiarato che è stata stabilita “libertà aerea operativa nell’Iran occidentale, fino a Teheran”, affermando che “Teheran non è più immune: la capitale iraniana è ora esposta agli attacchi israeliani”.
La campagna aerea israeliana, iniziata nella notte tra giovedì e venerdì e proseguita con varie ondate di raid, è condotta principalmente con caccia F-35 Adir (la versione speciale che Israele gestisce della piattaforma di quinta generazione prodotta dalla Lockheed Martin). Le capacità stealth sono state fondamentali per distruggere nel giro di 36 ore le difese aeree iraniane che potevano minacciare i jet diretti verso la Repubblica islamica — con il principale obiettivo di colpire i siti del programma atomico iraniano e la catena di comando militare.
Per definire la dimensione di ciò che stiamo analizzando: sabato mattina, 70 caccia israeliani, dopo aver volato per oltre 900 miglia, hanno potuto trascorrere più di due ore nello spazio aereo di Teheran, attaccando decine di obiettivi nella capitale iraniana. Non servirebbe nemmeno specificare che operare in questo modo permette di moltiplicare efficienza ed efficacia: un conto è compiere un lungo e logisticamente complesso viaggio da Israele fino all’Iran per bersagliare uno o due obiettivi — evitando di stare troppo a tiro della contraerea — un altro è arrivare nella zona da attaccare e aver tutto il tempo di scegliere più di un bersaglio, perché le difese aeree sono fuori uso.
Per quanto annunciato, le Idf hanno rapidamente colpito oltre quaranta obiettivi legati ai missili e sistemi avanzati di difesa aerea in tutto l’Iran, insieme a infrastrutture di comando e lancio aggiuntive. Secondo Defrin, decine di “piattaforme aeree” israeliane operano ormai liberamente su Teheran, rappresentando “la regione più profonda in cui l’Aeronautica abbia mai operato all’interno dell’Iran”.
Per arrivare a questo, però, non sono serviti solo gli F-35. Nella fase iniziale della campagna — denominata “Raising Lion” — è stata fondamentale l’azione dall’interno di agenti infiltrati del Mossad. L’intelligence israeliana ha inviato ai media, tra cui Formiche.net, video che riprendono queste operazioni di infiltrazione: la volontà era che queste capacità di coordinamento tra operazioni aeree e attività di intelligence sul territorio iraniano venisse raccontata — perché in effetti è un elemento di carattere storico per le operazioni, certamente in futuro analizzato e nei centri studi militari.
Le fonti spiegano che l’operazione segreta del Mossad è partita da mesi, contrabbandando componenti di droni per colpire dall’interno dell’Iran. Gli agenti hanno usato valigie, camion e container per spostare parti di quadricotteri esplosivi e munizioni sparate a distanza ma all’interno del territorio iraniano. Piccole squadre segrete hanno assemblato i droni vicino a siti missilistici e posizioni di difesa aerea. Quando è iniziato l’assalto aereo israeliano, queste squadre hanno neutralizzato i sistemi chiave e hanno colpito i lanciatori mentre emergevano dai rifugi. In qualcosa di simile a quanto fatto dagli ucraini contro i bombardieri russi poche settimane fa, si è di nuovo dimostrato come una tecnologia standard e teoricamente a basso costo come i quadricotteri, se abbinata a pianificazione humint di alto livello, può aggirare anche le difese avanzate.
La campagna segreta dei droni ha previsto reclutamento e formazione di collaboratori, l’infiltrazione nelle linee di rifornimento e l’individuazione di obiettivi principali. Il Mossad non è nuovo a questo genere di azioni, già collegabili con l’eliminazione di figure di rilievo della leadership iraniana e dei gruppi sciiti collegati. In questo caso, il lavoro delle squadre dell’intelligence ha permesso di distruggere dozzine di camion di lancio, ritardando la reazione. Nel quadro generale, significa che l’Iran è totalmente penetrato da Israele.
Aver ottenuto la superiorità aerea in così breve tempo su un territorio vasto come quello indicato dalle Idf dimostra infatti una capacità organizzativa enorme e una superiorità netta delle forze israeliane. Tuttavia, la Repubblica islamica pare tutt’altro che sconfitta: la reazione iraniana “True Response 3”, soprattutto quella condotta con missili balistici ha prodotto danni probabilmente senza precedenti in Israele. I vettori usati, come i nuovi Haj Qassem a propellente solido, hanno centrato obiettivi di alto valore. E le Guardie della Rivoluzione ne reclamizzano costantemente l’efficacia.
D’altronde siamo nel pieno dello scontro, dunque dell’infowar che caratterizza ogni combattimento. Tutto rimane da verificare, ma le informazioni come quelle di Defron e quelle altre diffuse dall’intelligence appaiono certamente realistiche.
Questa situazione riguardo alla superiorità aerea significa anche che, se gli Stati Uniti volessero unirsi alla campagna offensiva contro la Repubblica islamica, avrebbero condizioni di sicurezza sufficienti per evitare perdite, almeno in linea teorica e generale. Gli israeliani lo sperano, perché avrebbero maggiore capacità di azione, maggiore protezione a livello diplomatico e migliore profondità politica. Tuttavia, per quanto noto, Washington non intende giocare un ruolo attivo — mentre dal punto di vista difensivo sta aiutando Israele a proteggersi dagli attacchi, che spesso sono complessi perché portati con decine di missili e droni che saturano le difese aeree disponibili nello Stato ebraico. Addirittura gli americani fanno sapere che, sebbene l’appuntamento odierno dei talks con l’Iran per trovare un accordo su come gestire il programma nucleare sia saltato a causa dell’attacco israeliano, non considerano chiuso il formato e vorrebbero sedersi di nuovo con l’Iran al più presto.
Da notare, a proposito del programma nucleare: gli israeliani vorrebbero che gli Usa accettassero un ruolo attivo negli attacchi anche perché a quel punto significherebbe avere modo di andare totalmente a fondo contro i siti atomici iraniani. Alcuni di questi, come Natanz, hanno bisogno di coordinamento logistico e tecnico superiore per essere effettivamente danneggiati, come ricordava Ludovica Castelli (Iai). Altri, come l’impianto di arricchimento di Fordow, devono essere colpiti con le cosiddette bunker-buster — bombe in grado di penetrare la roccia e le fortificazioni per diversi metri. Fordow è probabilmente l’impianto dove l’Iran potrebbe far ripartire il programma nucleare (stavolta militare) se gli attacchi non dovessero essere totali. Per questo Israele spera che lo siano, sapendo che per esserlo c’è bisogno degli Usa — o di altre capacità operative ancora non dimostrate, che sarebbero ulteriormente clamorose.