Contro l’annichilimento di massa, ripartiamo dalla cultura etica

  • Postato il 12 luglio 2025
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di Francesca Carone

Quando la cultura non è cucita nell’alveo della libertà, il prezzo da pagare è altissimo. E le conseguenze sono visibili a tutti. Vedo in atto una sorta di annichilimento etico della cultura, intesa non nel significato antropologico, ma come approccio introspettivo a qualsiasi forma di conoscenza, che non dev’essere necessariamente un territorio accessibile a tutti. Un luogo di consapevolezza, di verità, d’identità dove far germogliare senso etico e conoscenza avvicinandosi il più possibile a quella verità suprema che è il senso della vita. La cultura contemporanea o post moderna trova la sua sintesi nell’incontro tra sapere ed etica, tra sguardo sul mondo e ricerca della conoscenza in tutte le sue sfaccettature e interconnessioni.

Tralasciando l’aspetto socio-antropologico della cultura (e anche quello politico) è doveroso fare chiarezza sul significato di cultura nella sua accezione di conoscenza e scoperta del sapere, in una visione inclusiva e democratica. L’esperienza della conoscenza ha radici molto profonde: è prima di tutto una questione di scelta. Ogni individuo sceglie liberamente di dedicarsi alla scoperta del sapere. La conoscenza trova il suo riflesso nell’ambiente sociale e nel libero pensiero. Una persona libera dalle sovrapposizioni subliminali del pensiero comune, anestetizzato dai dogmi social e massmediatici, è una persona “di cultura”.

In questa giungla sociale piena di voci, spesso l’unico linguaggio possibile è quello della comunicazione liquida, passiva, ammiccante, che mira a omologare e a circoscrivere il pensiero di una nuova generazione 1.0 che ripone il sapere nelle sacche contaminate della cultura di massa, annichilita e degenerata. Una generazione anonima, eterogenea e contagiosa sganciata da qualsiasi nesso temporale; un vero fenomeno sociale che si rispecchia nei valori social-mediatici e si auto genera in quella cultura massificata e fortemente omologata che si identifica con i bisogni primitivi e come risposta all’alienazione e all’autoreferenzialità.

Una generazione senza passato, di uomini e donne appartenenti a loro volta ad altre generazioni, alla ricerca costante di un presente che si adopera nella promozione di una identità liquida che sfugge a qualsiasi controllo, con il solo obiettivo di sopravvivere al disagio, alla sofferenza e al peso di una società fortemente stratificata e disfunzionale.

Gli effetti collaterali di questo movimento generazionale emergono con forza e irruenza nella neocultura dell’apparenza, del consumo, della ricchezza e dello Status Simbol. Tutto è riconducibile alla ricerca di una felicità vuota, asfittica e plastificata, impressa nell’inconscio e nella simbologia mediatica di vissuti codificati secondo i canoni dell’apparenza, seguendo gli impulsi e il soddisfacimento di bisogni effimeri e passeggeri.

Tutti diventano protagonisti e comparse, tutti rincorrono il bello, l’apparenza, la ricchezza rinunciando a qualsiasi connessione umana, al legame tra simili, unico e vero baluardo dell’esistenza. In questa stagione decadente della società, la cultura rappresenta la strada maestra per il raggiungimento di una vera coscienza esistenziale che costruisce ponti di apertura generazionale, contrastando le stratificazioni sociali e ponendo l’uomo come essere supremo, in grado di gestire democraticamente il Progresso e le tecnologie, di superare i divari sociali, di tollerare la diversità intesa come risorsa.

Una cultura che prenda le distanze dai paradigmi materialistici e labili della società. La cultura come riscatto alla schiavitù dell’omologazione forzata, ai disvalori del materialismo e dell’apparenza. La cultura come forza motrice per costruire ponti per il presente e come interconnessione generazionale proiettata nel futuro.

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Il Fatto Quotidiano

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