Consigli per ricominciare la stagione: la trilogia del tempo di Christopher Nolan

  • Postato il 18 settembre 2024
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“Non ho paura della morte. 
Sono un vecchio fisico. Ho paura del tempo.”
IL PROFESSOR BRAND IN INTERSTELLAR (2014)

Nel decennio compreso tra 2010 e 2020, Christopher Nolan si è dedicato principalmente a indagare il funzionamento del tempo all’interno – e al di fuori – della narrazione cinematografica, costruendo quella che di fatto costituisce a tutti gli effetti una trilogia (equiparabile per molti versi a quelle di Sergio Leone e Quentin Tarantino, affrontate qui e qui), composta da Inception (2010), Interstellar(2014) e Tenet (2020).

Il tempo per Christopher Nolan

Il tempo ha costituito per il Nolan regista e autore l’interesse maggiore, fin da Memento (2000), e in seguito con Insomnia (2002), Dunkirk (2017) e persino nelle opere dedicate alla rifondazione della mitologia di Batman (2005-2012).  Ma è indubbio che il tema viene affrontato esplicitamente nei tre film citati, con esiti originali che aprono a loro volta prospettive interessanti. 
Inception sfrutta il dispositivo del ‘sogno condiviso’ e la procedura dell’estrazione di segreti operata da Dominic “Dom” Cobb (Leonardo Di Caprio) e dalla sua squadra per illustrare allo spettatore come il tempo possa essere dilatato o compresso a seconda del livello onirico in cui ci si trova. Ovviamente, il rischio di queste scatole cinesi è quello di perdersi, soprattutto se come succede al protagonista chi ci si inoltra lo fa per rimuovere un trauma (nel suo caso, il suicidio della moglie). L’inception del titolo si riferisce all’innesto di un’idea nel cervello di una persona, definita non a caso il “parassita più resistente”. Pensiero, sogno, trauma (del resto, le due parole in tedesco e in inglese hanno la stessa radice, traum) si mescolano in una dimensione psichica che intreccia, sovrappone, fonde e annulla passato, presente e futuro.

Il genere è un pretesto per Nolan

Così, il thriller fantascientifico viene usato come un genere-pretesto da Nolan per iniziare ad affrontare i modi in cui il tempo può essere distorto, piegato, capovolto. Ma sarà rivolgendosi alla fantascienza, con quello che a tutt’oggi rimane il suo capolavoro (Interstellar; e non Oppenheimer…) che il regista inglese ha ottenuto dieci anni fa i risultati più sorprendenti. Lo schema è quello piuttosto classico dei viaggi nel tempo, schema che però viene reso al tempo stesso più complicato e più semplice rispetto ai racconti sci-fi più ‘tradizionali’: questo effetto viene ottenuto da Nolan utilizzando qualcosa che a lui non è davvero molto familiare, ovvero un intenso coinvolgimento emotivo
La guida dell’intero film è infatti il rapporto padre-figlia tra Joseph Cooper (Matthew McConaughey) e Murphy “Murph” (Mackenzie Foy da bambina, Jessica Chastain da adulta). Cooper è fin dall’inizio un protagonista riluttante, un uomo quasi del tutto fuori dalla sua epoca, nato troppo tardi (o troppo presto, come gli dice suo suocero Donald); è un astronauta in un periodo che non ha più bisogno di astronauti, in un mondo in via di estinzione che ha abbandonato ogni sogno di viaggio interstellare. Egli è acutamente critico nei confronti di questa resa, di questa passività, e cerca di instillare questo istinto di ribellione nella piccola Murph: “È come se ci fossimo dimenticati chi siamo, Donald: esploratori, pionieri. Non dei guardiani”.

La fine del mondo nei film di Nolan

Il mondo che sta finendo sembra imporre la conservazione, la nostalgia, lo sguardo rivolto indietro – mentre dovrebbe fare tutto il contrario, spingere a guardare avanti, in alto, nello spazio: “Un tempo per la meraviglia alzavamo al cielo lo sguardo sentendoci parte del firmamento, ora invece lo abbassiamo preoccupati di far parte del mare di fango”. Seguendo magari l’esortazione dei versi di Dylan Thomas continuamente citati nel corso del film: “Do not go gentle into that good night, / Old age should burn and rave at close of day; / Rage, rage against the dying of the light.” Infuria, infuria contro il morire della luce: un ottimo suggerimento, tutto sommato. 
Un evento misterioso e inspiegabile (la manifestazione del “fantasma”) avvia la catena di eventi che porterà il padre ad attraversare le epoche, e la figlia a inventare la tecnologia necessaria a questo stesso attraversamento mentre cerca di elaborare il dolore dell’abbandono da parte di Cooper. La scena più bella di tutto il film, ancora oggi, resta non quella dei buchi neri o del tesseratto, ma quella in cui il pilota si allontana piangendo sul suo pick-up, nella tempesta di sabbia, sapendo di non sapere se rivedrà mai la bambina che ha appena lasciato, arrabbiatissima con lui per aver deciso di partire verso l’ignoto. Così come, lo stacco tra Cooper che sempre in lacrime assiste impotente allo sfogo finale di Murph adulta, e la stessa donna furiosa, geniale e indomita che conclude il videomessaggio registrato per un padre molto probabilmente morto nello spazio, non manca di togliere il fiato anche alla decima visione. Magie del tocco di Nolan, certo; ma c’è di più.

Interstellar, Tenet e la fantascienza

Gli affetti e le emozioni risultano efficacissimi nel rendere comprensibili concetti fisici particolarmente astrusi (meccanismo che manca quasi totalmente nel fortunatissimo Oppenheimer). Il ‘tesseratto’ rende immediatamente tangibile la connessione fortissima tra padre e figlia: l’amore è l’unico dispositivo conosciuto in grado di oltrepassare i confini dello spazio e del tempo. Del resto, questo è il messaggio principale, se proprio ce n’è uno, contenuto nel dialogo tra Cooper e Amelia Brand (Anne Hathaway): “L’amore non è una cosa che abbiamo inventato noi. È misurabile, è potente. Deve voler dire qualcosa. (…) Forse vuol dire qualcosa di più, qualcosa che non possiamo ancora afferrare. Magari è una testimonianza, un… un artefatto di un’altra dimensione che non possiamo percepire consciamente. Io sono dall’altra parte dell’universo attratta da qualcuno che non vedo da un decennio, una persona che forse è morta. L’amore è l’unica cosa che riusciamo a percepire che trascenda dalle dimensioni di tempo e spazio”.

Christopher Nolan – Interstellar 4 Consigli per ricominciare la stagione: la trilogia del tempo di Christopher Nolan
Christopher Nolan – Interstellar

Il tempo come viaggio a ritroso in Nolan

Il film più esplicito della trilogia nel trattare il tema del tempo, Tenet, è anche il più debole e irrisolto. Qui l’idea del viaggio a ritroso, sempre con l’ausilio di un dispositivo abbastanza vintage nell’aspetto, risulta nello svolgimento piuttosto macchinosa e farraginosa. Ad ogni visione, infatti, quest’opera mi sembra sempre un esperimento non del tutto riuscito, rimasto a metà: tra inversioni, combattimenti al contrario, manovre a tenaglia, risulta tutto molto, troppo confuso. C’è qualcosa che in definitiva non funziona – e questo qualcosa, in fondo, è la freddezza, la mancanza di affetto e di coinvolgimento. A questo contribuisce certamente l’inespressività (voluta?) del Protagonista – anche questo non volergli dare un nome: ma perché? – interpretato da John David Washington, e non basta la bravura di Robert Pattinson (Neil) a risollevare il tutto. 
Ma insomma, Tenet è forse anche la prova del fatto che proprio la materia più complicata, la possibilità di direzionare diversamente la linea temporale e di intrecciare le dimensioni, a livello di narrazione e anche di comprensione della realtà, per essere affrontata richiede – come del resto ci hanno dimostrato altri grandi autori come Philip K. DickUrsula K. Le GuinWilliam GibsonGeorgi Gospodinov e soprattutto Virginia Woolf – un potente investimento emotivo personale, più che un ampio dispiegamento di nozioni scientifiche e tecnologiche. 

Christian Caliandro

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L’articolo "Consigli per ricominciare la stagione: la trilogia del tempo di Christopher Nolan" è apparso per la prima volta su Artribune®.

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Artribune

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