Con l’isolamento in carcere cresce il rischio di tortura. L’inchiesta di Trapani lo mostra

  • Postato il 21 novembre 2024
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“A volte i detenuti venivano fatti spogliare, investiti da lanci d’acqua mista a urina e praticata violenza quasi di gruppo, gratuita e inconcepibile”. Questo il racconto del procuratore di Trapani nella conferenza stampa tenuta a proposito dell’inchiesta per le presunte torture nel carcere della città, che ha portato undici poliziotti penitenziari agli arresti domiciliari e altri quattordici sospesi dal servizio.

Lo schema si ripete, ogni volta identico seppur diverso: la tortura in carcere, la violenza del pubblico ufficiale verso colui che ha in custodia, vuole annientare la dignità della persona detenuta, calpestare ogni senso di umanità, affermare un’inferiorità ontologica, un disprezzo. Come accadde a Santa Maria Capua Vetere durante il lockdown del 2020, come accadde a Reggio Emilia contro un detenuto denudato e incappucciato per il quale Antigone è oggi a processo, come è accaduto ancora in tante situazioni. Quello stesso disprezzo mostrato dal sottosegretario Delmastro pochi giorni fa verso i detenuti cui la polizia dovrebbe orgogliosamente togliere il respiro e confermato dalla premier Meloni nel dargli ragione.

L’ordinanza del tribunale di Trapani applicativa delle misure cautelari disegna un quadro allarmante, dove la violenza non era episodica bensì uno strumento di gestione ordinaria dell’ordine interno. E non da oggi: le indagini sono cominciate nel 2021 e hanno seguito tanti episodi nei quali i poliziotti costruivano squadrette interne per punire arbitrariamente chi ritenevano loro, considerando la legge, i medici che refertavano le ferite, chiunque si contrapponesse a questa gestione da far west come un nemico del corpo di polizia penitenziaria.

Il reparto Blu, al centro dell’inchiesta, era quello destinato all’isolamento. Secondo l’accusa vi venivano recluse le persone con problemi di disagio psichico. Erano loro le destinatarie delle sistematiche violenze. L’isolamento fa male, lo andiamo ripetendo da tempo. Antigone ha redatto un documento contenente linee guida per il superamento dell’isolamento penitenziario a livello mondiale. Lo scorso settembre il Consiglio d’Europa ha voluto organizzare un incontro con le amministrazioni penitenziarie di tutti i Paesi Membri per discutere il nostro documento. Ci si rende conto del pericolo che l’isolamento comporta. Anche alcuni organismi delle Nazioni Unite hanno mostrato interesse per il lavoro di Antigone in questo ambito.

In Italia, invece, l’isolamento penitenziario è ancora ampiamente utilizzato per motivi disciplinari. Luoghi oscuri, spazi del carcere poco osservati, dove cresce il rischio della tortura. L’inchiesta di Trapani lo mostra con evidenza.

La cultura di questo governo sembra voler promuovere il ritorno a un modello di carcere nel quale i detenuti sono privi di ogni diritto. Il disegno di legge governativo oggi in discussione al Senato e già approvato dalla Camera dei Deputati vuole introdurre il reato di rivolta penitenziaria, punito con pene altissime e configurabile anche in presenza della sola ‘resistenza passiva’ a un ordine impartito. Se un poliziotto ordina qualsiasi cosa e il detenuto non fa nulla, è punito con pene che possono raggiungere gli otto anni di carcere aggiuntivo. Rivendicare i propri diritti sarà impossibile in questo scenario. Si vuole tornare a un carcere nel quale i detenuti camminano in silenzio a testa bassa e considerano i poliziotti dei ‘superiori’, come un tempo venivano qualificati fin dall’appellativo.

Si vuole tornare a un carcere nel quale i detenuti non hanno dignità. È in questo clima culturale che prolifica la tortura. Ci auguriamo dunque di venire smentiti. Ci auguriamo che il governo prenda una netta posizione sulla vicenda trapanese, dicendo parole chiare sul ruolo democratico e rispettoso della legge che la polizia penitenziaria deve assumere in carcere.

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Il Fatto Quotidiano

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