Comprendere il mondo con la poesia

  • Postato il 9 maggio 2025
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Comprendere il mondo con la poesia

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Luigi Tassoni vincitore del premio “La Melagrana”, racconta all’Altravoce il Quotidiano come capire il mondo con la poesia tra letteratura, libri e Mario La Cava


Il Premio speciale “La Melagrana”, assegnato dal Comune di Bovalino e dal Caffè Letterario “Mario La Cava” a illustri personalità del mondo culturale che dedicano particolare attenzione ai temi meridionalisti, sarà consegnato quest’anno a Luigi Tassoni, critico, semiologo, e comparatista, autore di oltre 40 volumi e numerosi saggi in varie lingue, uno dei maggiori esperti di letteratura europea contemporanea. Professore emerito dell’Università di Pécs, dove ha diretto per trent’anni il Dipartimento di Italianistica e l’Istituto di Romanistica, Tassoni è, inoltre, membro dell’Accademia ungherese delle Scienze e ha insegnato negli USA e in numerose Università in Europa. Noti a livello internazionale i suoi saggi di filologia moderna, sui poeti italiani contemporanei, sul romanzo europeo di oggi, e sulla filosofia, pubblicati in diverse lingue. Appuntamento sabato 10 maggio alle ore 18 a Bovalino (RC), all’interno dell’aula magna dell’Istituto di Istruzione superiore “Francesco La Cava”.

Ho avuto il piacere di conversare con lui che mi ha, inoltre, anticipato l’imminente presentazione al Salone del Libro di Torino di un nuovo ed importante studio su Italo Calvino. “Raccontare Calvino”, questo il titolo dell’opera curata da Tassoni con Milly Curcio e Monika Fekete, pubblicata da Rubbettino, è un libro importante che vuole guardare il grande scrittore italiano con profonda attenzione e con un approccio diverso e più contemporaneo alla sua opera e che ha radunato i contributi di ben 14 autori. Un’opera di grande importanza come le parole che seguono e che sono scaturite dal dialogo con Tassoni.

Qual è lo stato della letteratura oggi?

«Da quello che vedo nei sempre più frequenti incontri pubblici, che siano nell’istituzione, nelle università e nelle scuole, mi pare che la letteratura abbia un seguito sempre più coinvolto e soprattutto quello che vedo è un seguito verso la poesia. Cosa che spero continui, soprattutto perché a me interessa la qualità e non propriamente la quantità, però mi accorgo, quando incontro i ragazzi, che c’è un interesse forte e ben focalizzato rispetto agli autori in questo senso. C’è da aggiungere che la scuola italiana fa pochissimo in questo e l’iniziativa è spesso lasciata ai singoli docenti che si impegnano molto, individualmente».

Infatti, ne “Il gioco infinito della poesia” lei sottolinea questa situazione. Come possiamo leggere la poesia oggi?

«Da poco è nata una sigla internazionale grazie all’iniziativa di alcuni studiosi ed anche editori che si muovono tra Parigi e Barcellona, che si chiama Alta Formazione Editrice, e che ha cominciato, con il mio e con un altro libro, a pubblicare una serie di testi utili a far capire meglio come la poesia si raccordi a letture più ampie. Il mio libro si intitola “L’invenzione della contemporaneità. Lettura della poesia italiana.” Noi possiamo comprendere tutta la grandezza della contemporaneità all’inizio solo in maniera intuitiva. Dalle tecnologie alla scienza e fino alle letterature, noi non potremmo comprenderla se non ci fosse alla base una riflessione sui linguaggi che vengono adoperati, trasformati, modificati e intrecciati complementarmente. Oggi esistono varie contemporaneità. La nostra, in modo particolare è molto complessa, fatta di interferenze, di lingue che si incrociano e linguaggi che si influenzano reciprocamente. In questo la poesia è protagonista assoluta. I poeti contemporanei diventano cassa di risonanza, motivo e motore propulsore di questi confronti, riflessioni, spostamenti nel tempo, dal passato al presente, con i ripescaggi che avvengono naturalmente nell’epoca nostra, e quindi per me è necessario che si parta e si arrivi comunque dalla/alla poesia».

Torniamo a Bovalino e torniamo a Mario La Cava, che so essere un autore a lei caro. Che scrittore è Mario La Cava, quali sono le sue cifre principali?

«Mario La Cava ha scelto di rimanere a Bovalino, questa cittadina della Locride ricchissima dal punto di vista umano. Io ho avuto modo di conoscerlo sin dai miei vent’anni, e ho dei ricordi importanti e belli. Uno scrittore con una produzione molto ampia e dunque con dei risultati che coprono vari generi, anche riguardo la narrazione contemporanea. Era un uomo civilissimo, gentile, pacifico e, allo stesso tempo, dotato di un’energia e di idee limpide. Basterebbe leggere uno dei suoi romanzi più importanti, per esempio “La ragazza del vicolo scuro”, per vedere la forza di questo scrittore. Ci troviamo di fronte a un focus sul femminile e anche a una difesa e a un rilancio della dignità e dell’autonomia del femminile. La Cava, come altri scrittori calabresi, è molto attento a questo. Ma basta solo leggere gli articoli raccolti ne “I miei maffiosi” per capire quanto coraggio e quanta lungimiranza c’era nella riflessione di questo grande scrittore. Anche per questo sono felice di ricevere un Premio così serio e coraggioso».

In un programma radiofonico lei, fra l’altro, ha citato il bellissimo carteggio “Lettere dal centro del mondo”, curato proprio da lei e da Milly Curcio, fra La Cava e Sciascia. Oggi crede che la provincia sia raccontata a sufficienza ed in che modo viene comunicata?

«Oggi, per fortuna, non adoperiamo le lenti di una volta. La provincia è in realtà un microcosmo tutto da recuperare che viene spesso illuminato da vari tipi di narrazioni, da quelle televisive alla filmografia contemporanea. Naturalmente anche dal punto di vista dei narratori è molto più frequente leggere un romanzo di un autore contemporaneo che parla di una situazione avvenuta in provincia piuttosto che in una grande città in Italia. Vedo che anche nelle letterature del centro e del nord Europa questo funziona benissimo. Io ho avuto una grande frequentazione di diversi autori, anche personalmente, ad esempio Kertész, Esterházy, Cartarescu, Ginzburg, Strati, e so che molte loro storie partono generalmente dalla provincia o dai quartieri periferici delle grandi città».

Quali segni vede nella letteratura italiana nel modo in cui racconta il Sud?

«L’approccio al Sud è molto vario negli scrittori italiani, scopriamo che il sud è raccontato come qualcosa di radicato che va compreso. Se noi partiamo dalla radici, possiamo far riferimento ad alcuni nomi come Sciascia, sul quale con Milly Curcio ho scritto un volume dal titolo “Confessioni di un investigatore“, ma anche a Consolo rimanendo fra i siciliani, al sardo Giulio Angioni, grandissimo, e via via arrivando ai poeti novecenteschi come Leonardo Sinisgalli, ma anche al calabrese Lorenzo Calogero, fino alla letteratura che si è sviluppata a Napoli (da La Capria a Erri De Luca). Ci sono anche i narratori non meridionali che parlano del sud, come Pavese dal suo confino, oppure Berto che sceglie di vivere in Calabria per raccontare di briganti che tanto malvagi non erano. In questo modo noi riusciamo ad avere una cifra non così distaccata dal resto della narrazione della letteratura italiana. Il sud è sempre un continente, arcaico e modernissimo a un tempo».

La sua è anche una carriera ed una vita che l’ha portata all’estero ad occuparsi delle letterature “altre”, penso agli incarichi in Ungheria e negli Stati Uniti. Quanto sono significative le differenze del racconto fra i vari paesi?

«Io raccomando sempre di leggere in lingua originale, e ho in parte questa fortuna. E anche di leggere e incontrare con curiosità gli scrittori. La curiosità muove le cose. Detto questo, oggi gli scrittori si influenzano gli uni con gli altri in maniera più energica. Penso a Mircea Cartarescu, tradotto bene da Bruno Mazzoni, importante per la complessità che mostra. Affonda nell’onirico e allo stesso tempo tiene presente la crudezza e a volte anche la crudeltà del vissuto. Certo, ci sono delle caratteristiche che distinguono i vari autori, ma quello su cui dobbiamo puntare è il confronto. Non dimentichiamo gli autori “storici” della nostra regione, come Strati, Seminara, Curcio, Calogero, Costabile, e naturalmente Alvaro e La Cava, e gli altri autori calabresi di generazioni più recenti. Dobbiamo considerare molto attentamente il loro lavoro perché sanno raccontare una cosa che manca a questa regione, cioè proprio il confronto. Questa regione deve saper scegliere la via del confronto, senza passare per l’esaltazione o la denigrazione, e gli scrittori contemporanei possono fare molto in questo senso».

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