"Come Filippide ho corso da Atene a Sparta". Il racconto della Spartathlon

  • Postato il 11 ottobre 2025
  • Di Il Foglio
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"Come Filippide ho corso da Atene a Sparta". Il racconto della Spartathlon

Narra il racconto di Erodoto che Filippide, famoso emerodromo ateniese, sarebbe corso da Atene a Sparta prima della battaglia di Maratona, per chiedere aiuto militare contro i Persiani. Il celebre messaggero avrebbe percorso a piedi in due giorni i circa 240 chilometri che separano le due città. Gara nata nel 1984, la Spartathlon celebra questo mito, ripercorrendone ogni anno il tragitto durante l’ultimo fine settimana di settembre. I numeri di Spartathlon: 246 chilometri di corsa (circa 6 maratone consecutive), oltre 3.000 metri di dislivello positivo, 36 ore di tempo massimo di percorrenza, 75 cancelli orari che impongono un ritmo serrato, suddividendo il percorso a tappe. Sogno di tanti ultramaratoneti, la Spartathlon è una gara ambita, prestigiosa, temibile, selettiva.

Il mio “progetto Spartathlon” è nato un po’ casualmente, invaghendomi dell’idea di poter un giorno partecipare grazie ai fantastici racconti di gara di alcuni amici runner veterani dell’esperienza.

Lo scorso ottobre partecipo con audace allegria alla bellissima e durissima Immortal’s Race 142 chilometri in Grecia. Ottengo la mia qualifica. A gennaio mi iscrivo all’estrazione per partecipare a Spartathlon. Contro ogni previsione e grazie a una buona dose di fortuna il mio nome viene estratto al ballottaggio di inizio marzo tra le numerosissime richieste. Pago la mia quota di iscrizione a inizio giugno. È fatta, da qui parte la mia estate di preparazione.

Pianifico gli allenamenti cercando di non esaurirmi in lunghissimi estenuanti, ma caricando gradatamente chilometri e mettendomi alla prova con altre sfide sportive. Ogni gara di avvicinamento è un test: si sperimenta tutto, alimentazione, idratazione, abbigliamento, soprattutto adattamento fisico e mentale alle tante ore di movimento che mi aspettano. I mesi estivi volano, tra impegni pressanti di lavoro e allenamenti che sembrano sempre sottostimati rispetto ai quei 246 interminabili e incomprensibili chilometri che separano Atene da Sparta.

Avvicinandomi alla data dello start, analizzo la mia visione della gara, attraverso la visualizzazione. Immagino come affrontare con efficacia le sensazioni di fatica o di sonno e associo emozioni positive già sperimentate in precedenza. In pratica mi costruisco un film immaginario della mia Spartathlon. Questo è il lavoro più impegnativo, rendere comprensibile, e soprattutto accettabile, una distanza che per il mio cervello è ignota, perciò destabilizzante. Smetto di ragionare in chilometri. La mia gara sarà un percorso di tante piccole tappe, da affrontare semplicemente una alla volta, un passo dietro all’altro. Ecco, sono pronta per andare lontano!

Sabato 27 settembre alle ore 7 ai piedi dell’acropoli di Atene partiamo in quattrocento alla volta di Sparta, laggiù nel cuore del Peloponneso. La gara inizia con un lungo tratto relativamente in discesa, che porta verso il mare, le gambe girano e le sensazioni sono buone, i primi chilometri passano svelti. Sono solo all’inizio. È fresco e ventilato, ma il sole non si fa attendere e attorno al 50esimo chilometro il riverbero è sempre più accecante e il vento soffia deciso, temo la disidratazione ed un eventuale colpo di calore. Questa parte di tracciato è affascinante e durissima, si susseguono una serie di ripidi saliscendi affacciati sul mare che mettono le gambe a dura prova. Proseguo decisa, sto bene e mi sento forte. Arrivo al cancello di Corinto all’80esimo chilometro senza esitazione. Chi conosce il percorso sa che questo è già un grande traguardo, in media un terzo dei partecipanti non riesce a varcare lo stretto.

Correre al tramonto è una delizia. Attraverso le varie stazioni che si susseguono una dietro l’altra e non faccio più caso al numero di ciascuna. Di fronte ai miei occhi sfilano panorami di uliveti e vigneti, piccoli borghi antichi, montagne che si tingono di rosa al calare del sole. Tengo sempre sotto controllo il mio vantaggio orario che mi regala un buon margine di sicurezza.

Arrivata la notte, arriva la pioggia. Rimarrà coperto e piovoso a tratti fino alla fine della gara. Un vero regalo del cielo, per me che soffro il caldo tremendamente. A 160 chilometri inizia l’ascesa al Monte Partenio. Due chilometri in salita fino a 1.200 metri e poi 3 chilometri di discesa su terreno sterrato mi regalano una breve pausa dall’infinito serpentone di asfalto. Superata la montagna, mi sembra quasi che sia fatta e sale l’impazienza malefica di raggiungere la meta finale. Queste sono le ore dove maggiormente ho provato la fatica. Tenere a bada la noia subdola che mi assale nel plumbeo paesaggio reso ovattato dalla pioggerella fine e insistente. Ho attinto alla mia forza mentale nel focalizzare i pensieri, allontanandoli dalle sensazioni di malessere. Nel dimenticarmi dei piedi umidi e irritati, della giacca bagnata e appiccicosa, ho diretto la mia attenzione, godendomi il viaggio in compagnia di me stessa. Questo è il fascino dell’ultramaratona, è un viaggio dove si esplorano luoghi sconosciuti, non solo all’esterno, ma soprattutto all’interno di sé.

Negli occhi ho le immagini dell’arrivo a Sparta, una emozione indescrivibile che rimarrà indelebile nella memoria. Con la bandiera italiana sulle spalle, nelle orecchie gli applausi e l’incitamento caloroso della gente, nel cuore l’enorme gioia per l’impresa compiuta, percorro il tratto in città che mi pare neanche di toccare più terra con i piedi. Eccomi come Filippide ai piedi di Re Leonida.
 

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Autore
Il Foglio

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