Colombia, la guerriglia all’attacco dello Stato: tre attentati in poche ore fanno 18 morti. Opposizioni contro il presidente

  • Postato il 23 agosto 2025
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Tre attentati si sono registrati nelle città colombiane di Amalfi, Cali e Florencia, nella notte tra giovedì e venerdì, provocando un totale di 18 morti e quasi 70 feriti in ciò che il presidente Gustavo Petro ha denunciato come “un atto di guerra“, attribuendo le responsabilità al Frente 36: si tratta delle fazioni Carlos Patiño ed Estado Mayor Central, due importanti gruppi armati che si sono staccati dalle Forze armate rivoluzionarie (Farc) perché contrarie alla sottoscrizione dell’ormai sepolto accordo di pace del 2016. “Siamo in presenza dei peggiori attentati terroristici perpetrati dal 2019”, è stata l’affermazione corale della stampa locale che paragona i fatti alla strage che quell’anno ha ucciso 21 persone a Bogotà, alla scuola di polizia General Santander.

Fonti di Palazzo di Nariño si dicono particolarmente colpite dalla vulnerabilità delle Forze armate di fronte ai gruppi armati irregolari, come dimostra l’attentato di giovedì pomeriggio ad Amalfi, nella base aerea “Marco Fidel Suárez”, dove sono morti dodici agenti dopo l’esplosione di alcuni ordigni e l’abbattimento di un elicottero causato da un drone. Il velivolo, modello Black Hawk UH-60, era diretto a “supportare un gruppo di agenti” che provvedevano al sequestro di “una coltivazione illecita”. Dopo la tragedia il sindaco di Antioquia, Alejandro Eder, ha offerto una ricompensa di 100mila dollari per “chiunque offra informazioni che permettano di identificare e catturare i responsabili”. Finora le operazioni hanno portato all’arresto di uno dei presunti responsabili, alias Sebastian, membro dell’Estado Mayor Central.

Anche nell’attentato registrato a Cali è stato seguito uno schema simile a quello di Amalfi, dove un camion con esplosivi è stato fatto saltare in aria nei pressi di una base della Forza aerospaziale colombiana, lasciando sei vittime. A Bogotà si discuteva ancora sui fatti di Amalfi e Cali quando un altro ordigno è esploso all’alba di venerdì nel centro di Florencia, vicino alle sedi del Comune e del Governo regionale di Caquetà. Nessuna vittima, in questo caso, ma il simbolo resta: le istituzioni, già fragili, rimangono sotto attacco.

Già a inizio anno i dissidenti Farc si sono resi protagonisti del conflitto contro l’Ejercito de liberaciòn nacional che ha provocato 117 morti e 450mila sfollati. Durante l’anno le violenze si sono estese anche a Valle del Cauca e La Guajira, ma il climax è stato raggiunto con l’attentato contro il pre-candidato Miguel Uribe Turbay, deceduto lo scorso 11 agosto dopo due mesi di ricovero all’ospedale Fundación Santa Fe di Bogotà.

Per il momento né il Fronte 33 né altri gruppi armati hanno rivendicato l’attacco, ma bastano le affermazioni del presidente perché la destra insorga criticando per l’ennesima volta la strategia di “pace totale” voluta dal capo di Stato. “È questo il risultato della pace totale di Petro”, ha detto la pre-candidata presidenziale, Vicky Davila, che ha parlato di “copione già scritto” per denunciare l’intenzione del presidente di sospendere le elezioni del prossimo anno. Ancor più duro il suo concorrente Abelardo De La Espriella, già avvocato dell’attuale ministro delle Imprese venezuelano Alex Saab: “Petro ha consegnato la patria ai criminali. La Colombia non può restare inginocchiata davanti ai criminali”. Torna alla carica anche l’ex-presidente Alvaro Uribe, rilasciato mercoledì dai domiciliari dopo una sentenza del Tribunale superiore di Bogotà che ha annullato la condanna in primo grado per tangenti ai paramilitari di destra, le Autodefensas, e frode processuale. “Ci chiamano estremisti perché siamo fermamente impegnati a restituire la tranquillità ai colombiani”, ha ribadito Uribe riproponendo la linea dura contro la guerriglia già attuata durante i suoi governi, subito dopo il suo rilascio.

È quindi escalation di piombo e di parole, mentre l’Alto commissario dell’Onu chiede allo Stato di “fare chiarezza” e ai combattenti di “preservare i civili”.

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