Clan Martorano, Cassazione conferma le condanne per mafia anche senza riti

  • Postato il 6 settembre 2025
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Clan Martorano, Cassazione conferma le condanne per mafia anche senza riti

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Regge l’impianto dell’inchiesta dell’Antimafia di Potenza: «Affiliati al clan Martorano senza riti» depositate le motivazioni della Cassazione sulle condanne definitive a Pace e Quaratino.


POTENZA – «L’esistenza del sodalizio mafioso Martorano-Stefanutti, avente connotazioni mafiose innovative rispetto a quelle dell’aggregazione criminale oggetto delle precedenti pronunce irrevocabili, è stata motivata alla stregua di plurimi elementi, dai quali si desume altresì la stretta interdipendenza con le cosche calabresi». A sancirlo è la Corte di cassazione nelle motivazioni, appena depositate, della sentenza con cui ha confermato le condanne per mafia ed estorsione, a 8 e 10 anni di reclusione già scontati di un terzo per la scelta del rito abbreviato, nei confronti dei potentini Giovanni Quaratino (74) e Giambattista Pace (72). Una sentenza pesante, insomma, destinate a pesare non poco negli altri processi nati dall’inchiesta sui nuovi affari dello storico clan del capoluogo, ribattezzata “Lucania felix”. Processi in cui risultano imputate, davanti al Tribunale di Potenza, una sessantina di persone inclusi i boss Renato Martorano e Dorino Stefanutti.

CONDANNE AI MARTORANO, LA CASSAZIONE: “LA MAFIA SFRUTTA LA NOTORIETÀ DEL CLAN STORICO”

Per i giudici della sesta sezione di piazza Cavour, presieduta da Pierluigi Di Stefano: «non può fondatamente disconoscersi la ricorrenza di indicatori significativi di una vis intimidatrice diffusa promanante dal sodalizio – e non da singoli suoi esponenti – e della correlata capacità di condizionamento del contesto territoriale di riferimento». La Corte si è poi soffermata sull’evoluzione del clan Martorano, definito un «gruppo mafioso a soggettività differente» rispetto a quello condannato negli anni ‘90 del secolo scorso nell’ambito del processo scaturito dall’inchiesta “Penelope”. Dunque un sodalizio il sodalizio composto da soggetti come i boss Martorano e Stefanutti già condannati in via definitiva «per la partecipazione ad una determinata associazione di tipo mafioso» che sono tornati in «attività» dopo aver scontato la pena con «altri individui, originariamente estranei a fattispecie associative di tal genere».

«La costituzione di un gruppo formalmente nuovo all’interno di un territorio già controllato da cosche mafiose – prosegue la Cassazione – non vale, invero, ad escludere la configurabilità del reato associativo allorché il nuovo sodalizio riproduca struttura e finalità criminali del “clan” storico, realizzi la stessa tipologia di reati, sfruttando la notorietà del primo per mantenere lo stato di assoggettamento intimidatorio nella popolazione del territorio di pertinenza, in modo da far percepire una sorta di continuità tra le azioni del gruppo originario e le proprie». In altri termini «non è dato affermare (…) che il ruolo da protagonista assunto da Stefanutti, del tutto coerente con il ruolo di vertice della consorteria, denoti la riconducibilità della forza intimidatrice esclusivamente alla sua persona».

CASSAZIONE CONDANNE AL CLAN MARTORANO, CONDANNATI ANCHE PACE E QUARATINO

Per quanto riguarda la posizione di Pace, la sesta sezione ha sottolineato che «sebbene non siano stati acquisiti dati probatori idonei a provare una affiliazione rituale – di per sé inessenziale (…) – la condotta di partecipazione non si è limitata al solo rapporto di prossimità con Stefanutti, ma si è tradotta in un contributo attivo, causalmente rilevante, alla operatività della consorteria». Inoltre: «l’omessa menzione da parte del collaboratore di giustizia Natale Stefanutti (figlio di Dorino, ndr) del Pace nell’organigramma del clan, ha valenza non necessariamente escludente e comunque non scalfisce la pluralità di elementi a carico, così come i fatti non confluiti in specifica contestazione valgono comunque ad inquadrare la sua intraneità al sodalizio».

Niente sconti anche a Quaratino, già titolare di una nota ditta di pompe funebri. Scrivono i giudici: «pur in mancanza di sufficienti evidenze dimostrative di un organico inserimento del ricorrente nella struttura, egli – già condannato in via definitiva per l’appartenenza al sodalizio criminoso degli anni 1990 – ha assunto iniziative –idonee a tutelare l’organismo sub iudice da attività investigative potenzialmente pregiudizievoli per la sua esistenza in vita». «Come emerge dal compendio intercettivo – procede la sentenza – , Quaratino era al corrente delle condotte delittuose dell’associazione (in particolare della vicenda Cruoglio e delle estorsioni attuate con la tecnica del c.d. cavallo di ritorno), tant’è che nel settembre 2020 riferiva a Sileo dell’esistenza di soffiate e della pressione degli inquirenti, che «stanno guardando»; forniva ai sodali chiare indicazioni per sottrarsi alla pressione investigativa».

A gennaio la Cassazione aveva già confermato una prima condanna per mafia e narcotraffico nell’ambito dell’inchieta “Lucania felix” nei confronti di un altro pregiudicato potentino, Carlo Troia. Condanna a 11 anni di carcere sempre con lo sconto di pena di un terzo per la scelta dell’abbreviato.

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