Cellulari in classe, una collega mi fa riflettere: come parlare di innovazione senza device?
- Postato il 9 luglio 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Ultimi giorni di servizio prima delle meritate vacanze, ultimi colloqui di licenza media e scrutini finali ancora in corso in un istituto comprensivo della provincia torinese. Ultimi sussulti dei percorsi di formazione degli insegnanti, quelli obbligatori che danno i crediti necessari per essere in regola. Un caldo boia, docenti tuttavia bendisposti, curiosi e alla ricerca di qualcosa che non siano le solite teorie, il laboratorio può dare una mano. Siamo qui per questo, proviamoci.
“Scusi, le attività che stiamo facendo con lei come si conciliano con il giro di vite sui telefonini e tablet annunciato dal ministro Valditara?”. La giovane collega non l’ha certamente detto per mettermi in difficoltà, ha avuto il merito di portare un po’ di realtà nel laboratorio scolastico dove l’esperto – il sottoscritto – sta proponendo e realizzando coi partecipanti attività di “Innovazione didattica nell’era digitale”, questo il titolo del modulo. I suoi colleghi posano gli smartphone con cui abbiamo sperimentato la realtà aumentata e già immaginano che tutto quello che stanno imparando non servirà a vivacizzare il ritorno in classe a settembre, perché proibito. Aspettano incuriositi una mia risposta.
Su giornali e tivù impazza il delirio. Smartphone vietati a scuola, Valditara: “Così preveniamo gli effetti negativi su apprendimento e salute”. Scuola, la circolare di Valditara: “Smartphone vietati anche al liceo”. E via cantando, in un profluvio di studi, sondaggi e statistiche che dovrebbero dimostrare non solo la pericolosità dello smartphone, ma anche il consenso bulgaro di studenti e famiglie verso misure sempre più draconiane che, si tenta di far credere, dovrebbero risolvere una volta per tutte il problema del rimbambimento digitale delle giovani generazioni. Insomma, gli italiani trattati come bambinetti irresponsabili a cui far credere che, se si sono fatti male scendendo le scale, la colpa è del gradino: tranquillo, se ne occuperà mammina.
Come se ai giardinetti, davanti alle scuole, nelle sale d’aspetto e su fino ai salotti di casa, non fosse pieno di adulti che compulsano lo smartphone, scrollando come pazzi e scrivendo messaggi fondamentali di cui non ricorderanno nulla pochi secondi dopo. Come se i loro bambini non ricevessero l’apparecchio ogni volta che, al ristorante come durante la passeggiata rilassante fra le corsie del supermercato, minacciano di rompere le scatole alzando eccessivamente il livello di tensione perché richiedono attenzione. Come se non cogliessero l’ipocrisia fra il modello genitoriale che propongono quotidianamente e il modello a cui aspirano per i propri figli.
Lo stesso ministero, peraltro, organizza e finanzia con i fondi del Pnrr la formazione del personale scolastico per la transizione digitale (D.M., n. 66/2023). Il laboratorio che sto tenendo si riferisce proprio a uno dei percorsi previsti “Didattica digitale integrata e formazione alla transizione digitale per il personale scolastico”. Per sviluppare attività occorrono strumenti, in questo caso devices, meglio se sono degli studenti, così imparano a farci qualcosa di diverso da tiktok e similari. I docenti debbono padroneggiare funzioni mediamente sofisticate per costruire didattiche stimolanti e proporre continuamente nuove esperienze e sfide. Come fanno se il clima è quello delle sparate che confondono il problema con l’oggetto?
Il problema è costruire una scuola dove educare all’uso delle tecnologie per risolvere problemi sempre più complessi cooperando coi compagni e i docenti, tema pressoché sconosciuto in gran parte delle nostre aule scolastiche. L’oggetto, il device, è un’arma di distrazione di massa che esercita un fascino perverso perché si comporta come se fosse una finestra sul mondo mentre ti porta per mano a vedere ciò che ritiene utile per farti consumare di più. La consapevolezza potrebbe portare docenti e allievi a sfruttare le sue enormi opportunità minimizzando il danno e riducendo tempi e modalità d’uso, a scuola, a casa, nelle attività del tempo libero.
Qualcosa del genere debbono averla pensata anche gli estensori della Circolare Ministeriale del 14 giugno scorso, che dice fra l’altro che “[…] l’utilizzo del telefono cellulare rimane consentito qualora, sulla base del progetto formativo adottato dalla scuola, esso sia strettamente funzionale all’efficace svolgimento dell’attività didattica nell’ambito degli specifici indirizzi del settore tecnologico dell’istruzione tecnica dedicati all’informatica e alle telecomunicazioni”. Insomma come prima, solo che il ministro Valditara sembra non averla letta.
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