Celebration day in Uk, Día de los Muertos in Messico: serve davvero una data per ricordare chi non c’è più?

  • Postato il 23 agosto 2025
  • Blog
  • Di Il Fatto Quotidiano
  • 1 Visualizzazioni

Nel Regno Unito, da qualche anno, maggio porta con sé una giornata speciale: il Celebration Day, ispirato al Día de los Muertos messicano. L’idea è semplice ma potente: creare uno spazio, collettivo e riconosciuto, in cui ricordare i propri cari, parlare di lutto e condivisione, e celebrare la vita di chi non è più con noi.

L’ultima edizione ha coinvolto attori come Stephen Mangan e Asa Butterfield, l’attrice Helena Bonham Carter e altre figure pubbliche, pronte a prestare la propria voce per poesie registrate agli Abbey Road Studios in memoria dei loro affetti perduti.

Un sondaggio, condotto proprio in occasione di questa giornata, ha rivelato che oltre un quarto dei britannici si sente a disagio nel parlare di morte, e quasi un terzo prova un senso di colpa nell’esprimere il proprio dolore, temendo di pesare sugli altri. Non vi sembra una fotografia che potrebbe descrivere bene anche l’Italia? Quante volte, di fronte a un lutto, ci siamo sentiti inadeguati, o ci siamo nascosti dietro frasi di circostanza, per paura di turbare o di “dire la cosa sbagliata”?

Helena Bonham Carter ha descritto il Celebration Day come un’occasione per “evocare” le persone amate, ricordarle e farle vivere di nuovo attraverso di noi. Una definizione che mi colpisce: perché la memoria non è solo un atto mentale, ma un’esperienza che si intreccia con il corpo, con le emozioni, con le relazioni presenti. Anche quando una persona muore, continua a vivere nella nostra “trama interiore”. Lo sentiamo tutti, ma lo diciamo troppo poco.

Naturalmente, non mancano le voci critiche: c’è chi teme che un’altra data nel calendario, con i suoi hashtag e il merchandising, rischi di banalizzare o “standardizzare” il ricordo. È un timore legittimo: la ritualità autentica nasce da un bisogno, non dalla moda. Ma è anche vero che, se un’iniziativa riesce ad aprire uno spazio di parola e di ascolto, può diventare un seme prezioso. Sta a noi – come individui e come comunità – scegliere di farlo germogliare in profondità, e non solo in superficie.

In Italia non abbiamo ancora un Celebration Day nazionale. Eppure, le occasioni per parlarne ci sarebbero. Ci affidiamo spesso al silenzio o alla fretta di “andare avanti”, quasi che la sofferenza fosse un fallimento personale da nascondere. Ma il dolore non si dissolve ignorandolo: si trasforma, si modella nel tempo, e per farlo necessita di essere visto, ascoltato, condiviso.

Come death educator, mi interrogo su questo: se avessimo anche noi una giornata dedicata al ricordo, come la vivremmo? Sarebbe un momento autentico di comunità o rischierebbe di diventare un appuntamento formale? E soprattutto, abbiamo davvero bisogno di un calendario per sentirci autorizzati a parlare di morte?

Forse la risposta non sta nell’istituzione di una data, ma nella costruzione di una nuova cultura della vita, capace di fare del ricordo un gesto quotidiano. Possiamo iniziare oggi: in famiglia, tra amici, nei luoghi di lavoro. Possiamo raccontare chi ci manca, nominare le assenze senza timore, riconoscere che il lutto non è un’eccezione ma parte integrante dell’esperienza umana.

Il Celebration Day ci ricorda che la morte, come la vita, è una realtà che possiamo affrontare insieme. Ma ci sfida anche a fare un passo in più: trasformare il dialogo sulla perdita da evento eccezionale a pratica ordinaria. Perché ogni giorno, non solo uno all’anno, possiamo scegliere di celebrare chi non c’è più.

L'articolo Celebration day in Uk, Día de los Muertos in Messico: serve davvero una data per ricordare chi non c’è più? proviene da Il Fatto Quotidiano.

Autore
Il Fatto Quotidiano

Potrebbero anche piacerti