“Cartelli di sangue”, Gratteri e Nicaso lungo le rotte del narcotraffico

  • Postato il 4 novembre 2025
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“Cartelli di sangue”, Gratteri e Nicaso lungo le rotte del narcotraffico

Esce “Cartelli di sangue”, Gratteri e Nicaso spiegano come cambiano le rotte del narcotraffico che alimentano l’economia criminale globale


Un viaggio lungo le rotte della cocaina. E, al tempo stesso, una riflessione sull’indifferenza con cui si assiste alla contaminazione dell’economia globale con i proventi del narcotraffico. Questo e altro è “Cartelli di sangue”, l’ultimo libro di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, edito da Mondadori e destinato a diventare un nuovo best seller. Un reportage vecchio stile, perché gli autori hanno seguito sul campo le rotte del narcotraffico, iniziando il loro viaggio da dove tutto è iniziato. Hanno incontrato i cocaleros, che raccolgono le foglie di coca. E hanno esplorato territori della foresta amazzonica devastati per far spazio alle coltivazioni di stupefacenti mentre milioni di sfollati si ammassano nelle periferie delle grandi città. Il viaggio ha inizio proprio dai Paesi produttori, dove la ‘ndrangheta ha messo radici dagli anni Ottanta del secolo scorso grazie a un’intuizione fondamentale. Quella di avere broker stanziati in America Latina.

I BROKER

Come Roberto Pannunzi, “principe del narcotraffico”, che aveva rapporti privilegiati con il cartello di Medellín per la vendita di ingenti quantitativi di cocaina ai clan Morabito, Coluccio-Aquino, Romeo, Bruzzaniti, Sergi, Trimboli e Papalia e a importanti famiglie di Cosa nostra. Uno che non esitava a offrire milioni di dollari agli agenti che lo ammanettavano, pur di riguadagnare la libertà. O come Vincenzo Pasquino, pentito del narcotraffico globale ed ex braccio destro del super latitante Rocco Morabito, che ha fornito dettagli inediti agli inquirenti sui legami tra ‘ndrangheta e Primeiro Comando da Capital, la più pericolosa organizzazione criminale brasiliana. E, ancora, come Nicola Assisi, originario di Grimaldi, nel Cosentino, ma a capo del “locale” di ‘ndrangheta di San Giusto Canavese, in Piemonte. Venne arrestato a San Paolo nell’ambito di un’operazione durante la quale la polizia dovette pesare, e non contare, milioni di dollari per un totale di 20 chili.

IL TAMUNGA

Ma proprio Morabito, che all’epoca del suo arresto nel 2021 era il secondo ricercato più pericoloso in Italia dopo Messina Denaro, incarnò la modernità dei broker. Una modernità fatta di criptofonini e accordi con i cartelli criminali di mezzo mondo. Tutto cambiò nel 1992, quando i clan iniziarono a organizzare spedizioni senza mediatori, come nel caso del sequestro dei 592 chili di cocaina provenienti dalla Bolivia, eseguito nel porto brasiliano di Fortaleza. Un sequestro che fece notizia soprattutto in Italia per l’ingente quantitativo, mai visto prima nel nostro Paese. Era il primo grosso carico di cocaina tolto alla ‘ndrangheta ed emerse in quell’occasione il ruolo di Morabito, detto il Tamunga per la passione per un tipo di fuoristrada. Dall’epica cattura in Brasile del padrino della cocaina, dopo 25 anni di latitanza e una fuga dal carcere di Montevideo, molto è cambiato.

I PORTI

La ‘ndrangheta aveva soppiantato Cosa nostra e aveva raggiunto una posizione di primo piano nell’importazione di cocaina in Italia e in Europa. Molta di quella fortuna era stata raggiunta grazie alla strategicità del porto di Gioia Tauro. Snodi cruciali anche i porti di Rotterdam, Anversa, Algeciras. L’Europa è così diventata il secondo mercato mondiale della cocaina dopo gli Usa. Oggi in Europa operano oltre 800 reti criminali, la metà delle quali è coinvolta nel traffico di droga. In questo contesto, si registra l’espansione dei clan albanesi che, accreditati dalla ‘ndrangheta, fanno arrivare fiumi di cocaina anche nelle nostre città. C’è spazio, nel viaggio di Gratteri e Nicaso, anche per una ricognizione delle piazze di spaccio, comprese quelle calabresi di Reggio e Cosenza, dove la discrezione è la regola e l’amicizia la copertura.

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L’ALLARME

Intanto, mentre desta allarme la maggiore produzione in Colombia e l’Ecuador diventa uno dei principali hub del transito delle droghe, le rotte sono divenute sempre più sofisticate, comprendono porti grandi e piccoli e metodi sempre più complessi per eludere i sequestri e abbattere i costi degli approvvigionamenti. Le strategie consistono nella frammentazione dei carichi, con l’invio di quantità sempre più ridotte, e nell’occultamento chimico. I trafficanti stanno cambiando pelle, passando da cartelli centralizzati a strutture più piccole e agili.

IL RICICLAGGIO

Cambiano pelle anche le reti del riciclaggio, che oggi viaggiano attraverso criptovalute, scambi commerciali fittizi e denaro volante gestito da reti criminali cinesi spesso in affari con la ‘ndrangheta. Stop ai vecchi metodi e ai furgoni pieni di contante che venivano continuamente sequestrati. Oggi il contante si trasforma in criptovaluta grazie a intermediari e portafogli digitali controllati dall’organizzazione criminale e reinvestiti nell’economia apparentemente legale, anche mediante apertura di conti bancari e costituzioni di società. Le complicità nel mondo bancario sono frequenti.

MAFIE IBRIDE

A favorire il riciclaggio di denaro sono le asimmetrie normative che, anche in Europa, consentono di spostare tesori da un territorio all’altro sfruttando vuoti legislativi. L’indagine Eureka della Dda di Reggio Calabria ha dimostrato che i clan Nirta-Strangio di San Luca e i Morabito di Africo trasportavano i proventi della droga in Germania, dove non c’è un limite all’uso del contante, e li facevano figurare come ricavi di autolavaggi. Ma oggi per “lavare” i soldi sporchi del narcotraffico le mafie ibride sfruttano hacker e algoritmi dell’Intelligenza Artificiale. Ecco perché, dicono Gratteri e Nicaso, «vanno armonizzate le leggi, soprattutto quelle che servono per combattere il riciclaggio di denaro, e va incentivata la cooperazione internazionale». Ed è importante la formazione professionale «perché non si può combattere un fenomeno se non lo si conosce».

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