Carne da cannone. Perché il Cremlino ha nazionalizzato Glavprodukt
- Postato il 17 aprile 2025
- Esteri
- Di Formiche
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Glavprodukt, azienda basata in Russia ma di proprietà statunitense, è senza ombra di dubbio uno dei colossi della produzione di carne in scatola dell’economia del Paese post-sovietico. Per questo, nell’ottobre del 2024, ha fatto scalpore la notizia del suo sequestro da parte del Cremlino. A portare a questo sviluppo è stata l’operazione giudiziaria (con delle marcate venature politiche) riguardante l’imprenditore Leonid Smirnov, residente appunto a Los Angeles, il quale è stato accusato dalle autorità russe di aver trasferito illegalmente 1,38 miliardi di rubli (pari a circa 17 milioni di dollari) fuori dal Paese nel periodo compreso tra il 2022 e il 2024. Lo stesso Smirnov ha respinto ogni accusa, definendo la vicenda un “raid aziendale in stile russo”. Dopo il sequestro la società è stata posta sotto il controllo dell’agenzia federale russa Rosimushchestvo, sottodivisione del ministero dello Sviluppo Economico che gestisce le proprietà statali federali di Mosca. A mesi di distanza, la ratio dietro questa scelta da parte dei vertici governativi russi comincia ad emergere in modo sempre più chiaro.
Un’inchiesta firmata dalla Reuters, che ha avuto accesso a materiale riservato, rivela infatti come la nuova direzione dell’azienda abbia affermato che il sequestro era necessario per garantire la continuità produttiva, specialmente riguardo alle forniture di vettovaglie per la Guardia Nazionale e al ministero della Difesa. Una mossa che segnala l’intenzione del Cremlino di integrare l’industria alimentare direttamente nella macchina bellica, in un momento in cui il conflitto in Ucraina, nonostante i negoziati in corso, non sembra destinato a concludersi rapidamente.
Il nuovo direttore generale di Glavprodukt sarebbe stato nominato su richiesta della società Druzhba Narodov, già unico fornitore della Guardia Nazionale russa tra il 2019 e il 2020. Le due aziende condividono il dominio e-mail agrocomplex.ru, riconducibile alla holding agricola “Agrocomplex named after N. I. Tkachev”, secondo quanto ricostruito attraverso registrazioni aziendali russe. Il proprietario finale dell’holding risulta essere Alexander Tkachev, ex ministro dell’Agricoltura russo vicino alla cerchia più stretta del presidente russo Vladimir Putin, tanto da venire sanzionato dall’Unione europea nel 2014 per il suo sostegno all’annessione della Crimea.
Nonostante Glavprodukt non avesse mai fornito direttamente l’esercito russo prima d’ora, il suo nuovo impiego rappresenta un’evoluzione coerente con la strategia del Cremlino: assicurarsi un controllo più stretto su asset strategici, in un contesto di guerra prolungata e crescente spesa militare.
L’esproprio di Glavprodukt si inserisce in una più ampia campagna di nazionalizzazione forzata. Circa una dozzina di società europee — tra cui il colosso danese Carlsberg e l’azienda energetica finlandese Fortum — hanno già subito simili espropri tramite decreto presidenziale. Le autorità russe hanno anche avvertito di possibili ulteriori sequestri di beni stranieri.
Mentre Stati Uniti e Russia cercano un dialogo per porre fine al conflitto ucraino, la vicenda di Glavprodukt rischia di diventare un nuovo nodo nelle relazioni bilaterali. Il segretario di Stato americano Marco Rubio ha affermato che il trattamento riservato all’azienda sarà un punto fondamentale nelle discussioni sul futuro dei rapporti tra Mosca e Washington.
Nel frattempo, il prossimo 18 aprile è fissata un’udienza presso il Tribunale Arbitrale di Mosca sul sequestro dei beni. Ma la direzione del cambiamento appare già chiara: in tempo di guerra, per la Russia, anche una scatoletta di carne può diventare un’arma.