Carmina Burana, una sontuosa esecuzione fa da gran finale al Caracalla Festival 2025
- Postato il 11 agosto 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Gran finale del Caracalla Festival 2025, con una sontuosa esecuzione dei Carmina Burana, accolta con entusiasmo dal pubblico.
Com’è noto, i Carmina Burana rappresentano originariamente una raccolta di canti (quasi tutti in latino, con eccezioni in provenzale antico e alto tedesco medio) composti nel XI e XII secolo. La loro pubblicazione avverrà, però, a metà dell’800, a seguito della loro scoperta dovuta a Johan Andreas Schmeller. Il nome deriva dalla versione latinizzata del nome (“Burana”) del convento benedettino in cui sono stati ritrovati (“Beuern”), nei pressi della località bavarese di Bad Tölz. Questi componimenti poetici rappresentano una testimonianza straordinaria del fermento culturale goliardico (in omaggio al soprannome “Golia” del noto eretico Pietro Abelardo); ovvero quello spontaneo movimento di associazioni creato dai cosiddetti clerici vagantes, gli studenti girovaghi che, seguendo il percorso di studi della peregrinatio academica, si spostavano nelle diverse università dell’epoca.
La fama popolare dei Carmina Burana si deve senza dubbio alla memorabile opera di Carl Orff: una cantata scenica (1935-36) costruita su 24 degli oltre 300 componimenti originali. Importante è da considerare come solo recentemente sia stato possibile ricostruire alcune possibili melodie originali (impresa difficile per la mancanza di chiare indicazioni armoniche e ritmiche nei manoscritti). Ai tempi della celebre composizione di Orff non si poteva avere alcuna idea di come anticamente venissero intonati i Carmina. Il compositore tedesco rimarrà affascinato dalla straordinaria varietà tematica dei canti, che va dal monito spirituale alla satira blasfema, dal gioco umoristico all’amara riflessione esistenziale. Interessante notare come nel titolo originale dato da Orff ci sia una precisa indicazione simbolico-esoterica: Cantiones profanae cantoribus et choris, comitantibus instrumentis atque imaginibus magicis, ovvero: “Canzoni profane per cantori e cori, accompagnate da strumenti e immagini magiche”. Un’indicazione presa in considerazione, ad esempio, da Shen Whei nel suo apprezzato allestimento coreografico al San Carlo (2014).
Arriviamo all’esibizione del 7 agosto: vivo apprezzamento per l’autorevole direzione di Diego Matheuz, travolgente la prova del coro, diretto dal maestro Ciro Visco, che ha affrontato una delle sfide più difficili del repertorio: una partitura giocata su sfumature ed esplosioni, continui cambi di ritmo e intensità. Una variazione che pretende dagli interpreti coristici una duttilità non solo tecnica, ma anche interpretativa; si deve esprimere, come detto, una gamma ampia e contrastante di esperienze interiori, dalla spensierata goliardia alla sapienza pessimista, dalla tenerezza dell’innamoramento al furore apocalittico. Segnaliamo anche il contributo determinante e ben calibrato del Coro delle Voci Bianche, diretto dal Maestro Alberto De Sanctis.
Applausi per il baritono Vito Priante (già apprezzato Leporello nel recente, discutibile, allestimento di Don Giovanni a Massenzio) e il tenore Levy Sekgapane, alle prese con il momento forse più buffo della cantata (Olim lacus colueram). Incantevole l’interpretazione del soprano Giuliana Gianfaldoni, bravissima a tenere note alte e limpide nonostante gli applausi fuori tempo del pubblico e (tornano le, letteralmente, dolenti note) l’invasione sonora del funky sparato a palla dalle casse di una manifestazione attigua.
Comprendo la difficoltà organizzativa di conciliare differenti eventi musicali a poche centinaia di metri di distanza, ma è stato letteralmente impossibile durante l’estate romana poter assistere a un concerto all’aperto (lirico, sinfonico, jazz o rock che fosse) senza sgradite invasioni sonore, creando l’effetto cacofonico di un transistor mal sintonizzato. Ricordo, inoltre, l’intervento iniziale del direttore artistico Daniele Michieletto, una denuncia degli orrori della guerra, in cui ha invitato i governi a impegnarsi per la difesa dei diritti e della dignità umana. Per tutta la serata, durante il concerto, è stato proiettato sulle rovine monumentali PAX OPTIMA RERUM (“La pace è la migliore fra le cose”).
Di fronte alla stupidità umana, incapace di imparare alcunché dalla Storia, hanno risuonato i versi dei clerici vagantes dedicati alla capricciosa Ruota della Fortuna: “Sorte crudele e vana,/ tu ruota volubile,/ stato incerto, falsa prosperità/ sempre dissolubile”.
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