Carioti: Palestina, Israele, Sigonella. L'altro Craxi, oltre i luoghi comuni
- Postato il 19 gennaio 2025
- Di Libero Quotidiano
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Carioti: Palestina, Israele, Sigonella. L'altro Craxi, oltre i luoghi comuni
Che la vera storia di Bettino Craxi fosse agli antipodi della vulgata comune, chi ha occhi per vedere e cervello per capire lo sa da qualche decennio. Il “tesoro” accumulato dal leader socialista, la fontana di piazza Castello fatta smontare e ricostruita chissà dove, i lussi hollywoodiani della villa di Hammamet erano leggende metropolitane, noccioline buone per ingozzare le scimmiette dell'antipolitica che poi ci avrebbero regalato i Bonafede e i Toninelli.
Adesso si sa che anche il Craxi tanto filo-palestinese da finire nella lista nera dei presidenti statunitensi era un'invenzione, la deformazione di un personaggio molto più difficile da dipingere. Merito di questa e altre correzioni, a 25 anni dalla morte del primo presidente del consiglio non democristiano, è del giornalista Fabio Martini, che ha appena dato alle stampe un'edizione aggiornata del suo libro uscito nel 2020, Controvento. La vera storia di Bettino Craxi (Rubbettino Editore).
In quelle pagine ci sono nuove testimonianze e si citano documenti delle intelligence che nel frattempo sono stati desecretati o declassificati. Il giudizio storico definitivo su un personaggio così complesso e ingombrante non potrà mai arrivare, ma il libro di Martini fa fare un grande passo avanti. Ci riesce proprio perché ripulisce la parabola del leader socialista dai luoghi comuni.
A cominciare dalla vicenda che dal dirottamento della nave da crociera Achille Lauro, il 7 ottobre del 1985, passa per l'assassinio di Leon Klinghoffer e arriva a un nonnulla dal conflitto armato tra alleati nella base aerea di Sigonella.
Non si può capire cosa successe se non si torna indietro di due anni, all'idea per contenere i sovietici nel Mediterraneo che Craxi aveva illustrato a Ronald Reagan nel loro primo incontro, alla Casa Bianca: «Un piano di pace che prevedeva il ritiro israeliano dai territori occupati e la formazione a Gaza e in Cisgiordania di un'amministrazione autonoma palestinese». Niente nascita immediata di uno Stato palestinese, dunque, ma un approccio graduale, «il varo di una Federazione tra la nuova entità palestinese e la Giordania, soluzione temporanea per sperimentare le capacità di autogoverno dei palestinesi». Idea che lo stesso Reagan aveva lanciato nel 1982. Il primo ministro israeliano Simon Peres, che pure, come Craxi, militava nell'Internazionale socialista, respinse l'ipotesi: «Craxi, sei in anticipo con la Storia»; «Peres, credo che a essere in ritardo sia tu». Però il leader dell'Olp, Yasser Arafat, fece l'apertura che Craxi sperava, e re Hussein di Giordania dette la propria disponibilità.
Così, quando il ministero della Difesa avvertì che la Achille Lauro era stata sequestrata dai terroristi palestinesi, a palazzo Chigi capirono subito che l'obiettivo era indebolire Arafat, comunque il più “trattativista” dei suoi.
«Non a caso», racconterà l'ambasciatore Antonio Badini, consigliere diplomatico di Craxi, «la scelta per il compimento del sequestro cadde su una nave italiana, di un Paese che si era molto esposto per convincere Arafat». Il capo dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina chiese aiuto ad Abu Abbas, leader dell'ala estrema dell'Olp e di quei quattro terroristi, per risolvere la questione. I sequestratori si arresero, ma prima di consegnarsi ammazzarono Klinghoffer, ebreo statunitense, e buttarono in mare il suo corpo. Due pallottole per lui, una per il piano di pace di Craxi. E un seme in più per Hamas, la malapianta che sarebbe nata due anni dopo.
Le immagini della pista di Sigonella – i carabinieri che per ordine di Craxi sfidano le teste di cuoio americane attorno all'aereo con i terroristi a bordo – sono entrate nella Storia. Quanto ha pesato quella vicenda nelle successive sventure del leader del Psi? Il destino dell'uomo si decise quel giorno, la Casa Bianca gliela fece pagare per quella scelta?
Lo pensano in molti, ma per Badini, e Martini con lui, la risposta è no: lo strappo con Reagan fu ricucito già due settimane dopo, al vertice G7 di New York, tanto che nel maggio successivo il presidente repubblicano, su richiesta di Craxi, avrebbe appoggiato la richiesta italiana – osteggiata dagli altri leader – di trasformare il G5 dei ministri del Tesoro, una sorta di direttorio dell'economia mondiale, in un vertice a sette, aprendo così le porte al governo di Roma.
Lasciò un segno, invece, l'avvertimento che salvò la vita al rais libico Muhammar Gheddafi, nell'aprile del 1986, quando Craxi seppe che gli americani stavano per lanciare un raid aereo contro di lui. «Nell'ostilità americana verso Craxi, Sigonella non ebbe peso. Più irritati furono con Bettino quando fece sapere in anticipo a Gheddafi che gli americani volevano ucciderlo...», raccontano le testimonianze riportate da Martini.
Eppure, nemmeno questo fece inserire il nome di Craxi nella lista nera dei presidenti americani. Ed è sbagliato anche parlare di «americani», come se la linea alla Casa Bianca fosse una sola. Nel quinquennio cruciale che inizia nel 1990, quando tutto in Italia cambiò, emersero «due dottrine diversissime su come affrontare la crisi italiana. Letteralmente due Americhe».
Una era quella del repubblicano George Bush, presidente dal 1989 al gennaio del 1993. La cui amministrazione, spinta anche dalla necessità di stroncare il traffico degli stupefacenti che stava mettendo in crisi l'efficienza delle forze armate a stelle e strisce, decise di prendere in mano il “dossier Italia”. Scommise sulla destabilizzazione del Paese alleato e la rovina di una classe politica che gli Stati Uniti avevano appoggiato e finanziato sino al crollo del Muro di Berlino, e puntò sull'ascesa al potere degli homines novi, i magistrati: prima Giovanni Falcone e poi Antonio Di Pietro. Con un occhio di riguardo al capo della procura di Milano, Francesco Saverio Borrelli, e all'intero pool di Mani Pulite, diventati referenti diretti del consolato americano.
Linea che nel 1993 il democratico Bill Clinton, successore di Bush, decise di ribaltare, temendo le conseguenze che un simile cataclisma istituzionale avrebbe prodotto. Clinton preferì investire nell'emersione di una nuova classe politica, i cui campioni erano Silvio Berlusconi, Massimo D'Alema e Gianfranco Fini.
Resta il fatto che nell'Italia di Clinton, come in quella di Bush, non c'era più posto per Craxi, il socialista che aveva voluto la Biennale di Venezia sul dissenso nell'Europa comunista e garantito l'installazione degli euromissili in Italia. Con la sua politica estera autonoma si era fatto nemici potenti non alla Casa Bianca, ma nel «deep state», in «quei segmenti formati da Servizi, Fbi, mondo finanziario, consiglieri».
La conclusione di Martini è che non ci fu «un complotto studiato da una centrale operativa» contro di lui: semplicemente, non essendo più utile alla causa, si decise di abbandonarlo, di lasciare che le orde dei nemici lo sbranassero. Craxi finì così «per un concorso di mani. Pulite, meno pulite, tutte ostili». Nell'indifferenza degli americani e di tanti italiani.
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