Calo sbarchi dalla Tunisia, il report: “Da arresti a deportazioni, i soldi italiani e Ue usati per finanziare la repressione”
- Postato il 27 ottobre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Quaranta morti al largo di Salakta, in Tunisia. L’ennesimo naufragio nel Mediterraneo coincide con la presentazione di un nuovo rapporto che denuncia la “faccia nascosta” del calo degli sbarchi: la repressione finanziata da Italia e Unione Europea. Il rapporto, intitolato “Prigioni a cielo aperto” e realizzato da Avocats Sans Frontières (ASF) con il Centro di Giornalismo Permanente, accusa apertamente Italia e Unione Europea di finanziare, direttamente o indirettamente, la repressione del regime di Kaïs Saïed, presidente della Tunisia.
Il rapporto ricostruisce, dati alla mano, come gli accordi siglati negli ultimi anni abbiano trasformato la Tunisia da laboratorio democratico post-primavera araba a “laboratorio di repressione”, dove la cooperazione con l’Ue serve soprattutto a bloccare le partenze e reprimere chi si oppone.
Per il governo italiano, il risultato è evidente: -80% di arrivi via mare dalla Tunisia nel 2025 rispetto a due anni prima. Un calo che Palazzo Chigi rivendica come un successo politico. Ma l’altra faccia, secondo ASF, è fatta di intercettazioni violente, deportazioni nel deserto e arresti arbitrari. Una catena in cui ogni aumento dei flussi migratori è seguito da nuovi accordi, nuovi fondi, nuovi mezzi. E dove a guadagnarci è soprattutto il regime di Saïed, che negli ultimi anni ha accentuato la repressione interna contro migranti, oppositori e giornalisti.
“Dal 2011 l’Unione Europea ha finanziato la Tunisia con circa un miliardo e mezzo di euro”, spiega Matteo Garavoglia, autore del rapporto e giornalista del Centro di Giornalismo Permanente. “Negli anni, la gestione della migrazione è diventata uno degli asset principali del Paese. L’accordo del 2023 tra Bruxelles, Roma e Tunisi rappresenta il compimento al cento per cento del processo di esternalizzazione dei confini”.
Secondo Garavoglia, “l’Italia ha avuto un ruolo diretto, fornendo mezzi, formazione e expertise alla polizia tunisina. È un impatto doppio: sulla comunità tunisina e su quella subsahariana, entrambe travolte da una spirale di violenze esplosa dopo il discorso xenofobo del presidente Saïed nel febbraio 2023. Da allora si registrano intercettazioni violente, morti, deportazioni e campi bruciati attorno a Sfax: tutto reso possibile dai finanziamenti europei e italiani”.
Nel 2023, Bruxelles e Roma hanno versato al governo tunisino oltre 300 milioni di euro. L’obiettivo di gran parte dei fondi? Rafforzare il controllo delle frontiere. ASF documenta almeno 18 motovedette e oltre 200 veicoli forniti dall’Italia e dall’Unione Europea. Le intercettazioni in mare sono aumentate del 45%. Più di 9.500 persone sono state riportate a terra senza accesso a tutela legale, rinchiuse in centri non riconosciuti, “spazi di confinamento privi di standard minimi”.
“Abbiamo ricostruito i programmi italiani e individuato motovedette, fuoristrada e sistemi di sorveglianza usati nelle intercettazioni e nelle deportazioni”, spiega Garavoglia. “Alcuni veicoli forniti da Roma sono stati probabilmente usati anche per arresti politici. I dati satellitari e le inchieste internazionali mostrano come siano serviti a deportazioni verso il deserto”.
Negli ultimi vent’anni, l’Italia ha avuto un ruolo di primo piano nella cooperazione con Tunisi. In particolare dal 2020 al 2024 i fondi italiani destinati alla sicurezza tunisina hanno superato i 40 milioni di euro, partendo dagli 8 milioni previsti durante il mandato del ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Oltre ai contributi diretti, Roma ha fornito mezzi terrestri, motovedette e addestramento militare, spesso nell’ambito dei programmi europei di “rafforzamento delle capacità”.
Una catena di accordi ormai consolidata: 2011, 2017, 2021 e di nuovo 2023. “ Ogni volta che crescono le partenze dalla Tunisia , arriva un nuovo accordo. L’Italia e l’Ue reagiscono con fondi e forniture ogni volta che aumenta la pressione migratoria”, spiega Garavoglia. “È un meccanismo che premia la repressione e rafforza un regime che ha smantellato le libertà civili. Oggi i tunisini non passano neanche più dai CPR: non scappano, perché non possono. La Tunisia è ormai una prigione a cielo aperto”.
Il Memorandum of Understanding firmato il 16 luglio 2023 tra Unione Europea e Tunisia, con la mediazione decisiva di Giorgia Meloni, è il punto di svolta. Un pacchetto da un miliardo di euro, presentato come “partenariato globale”, che prevede 105 milioni per la gestione delle frontiere, 150 milioni in aiuti macrofinanziari e il resto legato a riforme economiche richieste dal Fondo Monetario Internazionale. Per ASF, “quel denaro ha finito per rafforzare solo l’apparato di sicurezza tunisino”.
Il Memorandum del 2023 ha destinato circa il 30% dei fondi europei a equipaggiamenti di sorveglianza, carburante e mezzi blindati. Nel frattempo, le agenzie umanitarie come UNHCR e OIM — formalmente partner tecnici dell’Europa — non riescono più a operare liberamente: le autorità tunisine ostacolano il loro lavoro e negano l’accesso ai centri di detenzione. È qui che emerge il paradosso denunciato dal rapporto: le agenzie che dovrebbero garantire protezione finiscono per operare all’interno di un sistema di contenimento e deterrenza dei migranti.
Il caso di Kabba e Kargbo lo mostra bene. Arrivati a Tunisi nel gennaio 2024, ottengono il tesserino di richiedente asilo UNHCR, senza però alcun supporto abitativo, economico o tutela legale. Vivono in tende nei quartieri periferici, finché, il 3 maggio, vengono prelevati dalla polizia durante uno sgombero notturno e abbandonati nel deserto al confine con l’Algeria. Tornati in città con l’aiuto di civili, vengono fermati nuovamente ad agosto e trasferiti a Sfax, insieme a un gruppo di 130 persone, per essere deportati. Dopo due settimane di cammino nel deserto, un sottogruppo viene soccorso dalla Mezzaluna Rossa e dalla polizia tunisina. Ma il “salvataggio” non cancella le violenze: percosse, confisca di telefoni e denaro, impronte digitali prelevate senza assistenza legale. La coppia viene poi trasferita nei centri di Tataouine e Medenine, dove l’OIM propone il rimpatrio “volontario assistito” come unica alternativa.
L’assistenza diventa così uno strumento di pressione, come denuncia ASF, trasformando l’aiuto umanitario in controllo. Il rapporto documenta che questa pratica non è isolata: nei centri di Medenine, Zarzis e Tataouine, rifugiati registrati vengono temporaneamente ospitati e poi spinti verso il rimpatrio. UNHCR e OIM, formalmente garanti di tutela, si trovano inglobati in un sistema finanziato dall’Europa e gestito da Tunisi, dove sicurezza e umanitarismo si confondono e la protezione diventa funzione amministrativa.
La violenza è strutturale: nei deserti, nei centri informali e nei rimpatri “volontari”, la paura diventa condizione di vita quotidiana . Eppure, nonostante tutto,“le autorità europee si dicono impegnate a verificare l’uso dei fondi, ma nei fatti non esiste un vero meccanismo di controllo”, osserva Garavoglia. “Gli audit interni promessi da Bruxelles restano sulla carta. E chi prova a chiedere chiarezza, anche attraverso accessi agli atti, si scontra con dei muri”.
Mentre i fondi europei continuano a fluire, in Tunisia cresce la repressione. “Dal 2023 non è più possibile lavorare in modo indipendente. ONG e associazioni vengono criminalizzate. L’articolo 54 contro la ‘diffamazione online’ è usato per incarcerare chiunque critichi il presidente. È un regime che reprime ogni forma di solidarietà verso i migranti” racconta Lamine Benghazi, coordinatore di programma di ASF. Uno degli aspetti più oscuri riguarda le sepolture anonime.
Nel governatorato di Zarzis, famiglie tunisine denunciano cadaveri mai restituiti, autopsie negate, informazioni negate: un vuoto di trasparenza che si collega alle operazioni di intercettazione e ai naufragi invisibili. “Il governo Meloni ha ridato legittimità al regime di Saïed, sostenendolo politicamente e finanziariamente. In Europa, l’Italia lo protegge sia diplomaticamente che economicamente. Le politiche migratorie servono oggi a rafforzare il regime, mentre il racconto pubblico riduce la Tunisia a un semplice partner tecnico per il controllo dei flussi” aggiunge Antonio Manganella, direttore regionale di ASF.
Arresti, repressione e detenzioni amministrative mostrano un Paese dove il controllo delle frontiere si è trasformato in controllo delle persone. Il rapporto documenta centinaia di casi in cui persone intercettate in mare o arrestate nelle città sono state trasferite al confine con Libia e Algeria e abbandonate in aree desertiche senza acqua né cibo. Una modalità che, secondo ASF, ha trasformato un’operazione di controllo dei flussi in una politica di punizione. Nel 2023, dopo il discorso di Saïed contro i migranti subsahariani, sono state registrate espulsioni di massa verso le regioni desertiche di Ben Guerdane, Hazoua e Tabarka. Molti sono morti lungo il tragitto o subito dopo l’abbandono.
“Grazie al lavoro della società civile tunisina e non solo e alle inchieste giornalistiche, oggi possiamo vedere con chiarezza la connessione diretta tra fondi europei e violazioni dei diritti”, conclude Garavoglia. “Ogni mezzo fornito, ogni programma di ‘rafforzamento delle capacità’, ha un riflesso concreto sul campo. È questa la vera immagine dell’esternalizzazione: la sicurezza dei confini europei pagata con l’illegalità e la repressione a sud del Mediterraneo”.
Il rapporto di ASF parla chiaro: la riduzione degli arrivi è stata ottenuta al prezzo di violazioni sistematiche dei diritti umani. “Quando l’Ue trasferisce risorse, equipaggiamenti o formazione senza monitorare l’uso che ne viene fatto, diventa corresponsabile delle conseguenze”, viene spiegato nel rapporto. “Il modello tunisino ha ridotto gli arrivi in Europa, ma ha aperto la strada a un regime sempre più autoritario”. Un modello che, per ora, l’Italia e l’Unione Europea continuano a chiamare “successo”.
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