Basta scontri frontali sui vaccini: la base scientifica è solida, vanno considerati gli effetti sociali

  • Postato il 13 dicembre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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di Sara Gandini e Paolo Bartolini

Negli ultimi mesi si è riacceso un dibattito acceso e polarizzato sui vaccini anti-Covid. Una discussione che prende avvio da studi specifici, come quello francese pubblicato su JAMA Network Open, ampiamente citato in rete (per cui i vaccini a mRNA non aumentano la mortalità e riducono il rischio di morte per Covid grave del 74% e per tutte le cause del 25%, ndr), e che finisce, prevedibilmente, con il trasformare un tema complesso nell’ennesima occasione per uno scontro frontale tra schieramenti rigidamente contrapposti. Da una parte chi utilizza lo studio come prova definitiva di efficacia e sicurezza; dall’altra chi lo contesta come esempio di cattiva scienza o presunto inganno. Ma ciò che stupisce non è tanto la natura del dibattito, quanto il fatto che esso continui a consumarsi come se tutto ruotasse attorno a un singolo studio, ignorando la mole enorme di ricerche disponibili e, soprattutto, evitando accuratamente di affrontare le questioni davvero centrali.

È fondamentale ricordare che l’evidenza sull’efficacia dei vaccini per Covd-19 non si basa su un’unica ricerca, per quanto ampia, ma su un insieme di dati imponente, facendo riferimento a revisioni sistematiche e meta-analisi di dati di sorveglianza e trials condotti in contesti nazionali molto diversi. Questi lavori, nel loro complesso, convergono su un punto: i vaccini hanno ridotto in modo significativo forme gravi e mortalità associate al Covid-19, soprattutto nelle fasi iniziali della pandemia e nei soggetti più anziani o fragili. Esistono differenze tra varianti, contesti epidemiologici e gruppi di età; sicuramente l’efficacia contro l’infezione diminuisce velocemente nel tempo e non aveva senso a mio parere imporre obblighi e fare ricatti, soprattutto ai giovani e agli insegnanti.

Ma la scienza, soprattutto l’epidemiologia, non dà mai risposte assolute, verità incontrovertibili, perché la variabilità umana e delle popolazioni non lo permette e in più ci sono questioni metodologiche complesse che rendono gli studi difficili da interpretare, come il cosiddetto “healthy vaccinee bias”. In poche parole, le persone che si vaccinano tendono ad avere, in media, condizioni di salute migliori e maggiore accesso ai servizi sanitari. Ciò può far apparire i vaccinati più “protetti” anche indipendentemente dal vaccino e per malattie per le quali il vaccino non ha alcun effetto. Gli studi seri lo considerano e lo correggono, ma vale la pena ricordarlo quando si confrontano tassi di mortalità tra vaccinati e non vaccinati.

Perché allora si continua a discutere come se tutto dipendesse da un singolo numero o da una tabella? Perché ci si accanisce su dettagli isolati, perdendo di vista l’insieme? La risposta non riguarda solo la scienza, ma la politica e la società. La pandemia è stata gestita politicamente come un’emergenza continua, un dispositivo che ha centralizzato il potere decisionale e trasformato i dati scientifici in strumenti di legittimazione più che di discussione. Il risultato è un discorso pubblico costruito attorno a rituali di appartenenza, pro o contro, che impediscono un confronto maturo sulla complessità dei fenomeni.

In questo senso, il dibattito sui vaccini diventa una distrazione di massa. Mentre si discute senza tregua della metodologia di uno studio o della significatività di un hazard ratio, si evita di affrontare questioni molto più profonde. Un esempio emblematico è offerto dalle analisi sull’eccesso di mortalità in Europa negli ultimi anni di cui abbiamo parlato anche in passato, sul Fatto Quotidiano: un aumento non spiegabile dal Covid e che è dovuto all’impatto delle misure socioeconomiche adottate durante la pandemia, con la crisi dei sistemi sanitari, con il peggioramento delle condizioni sociali e psicologiche, e con un generale indebolimento delle fasce più vulnerabili della popolazione. Le diseguaglianze si sono ampliate, e chi aveva meno risorse ne ha pagato il prezzo più alto. È questo il nodo centrale, eppure è quello di cui si parla meno.

E così, mentre i cittadini litigano sui vaccini, le questioni politiche più rilevanti rimangono sullo sfondo: il sottofinanziamento cronico del sistema sanitario; la mancanza di politiche efficaci contro le diseguaglianze; il ricorso sistematico all’emergenza come modalità di governo (e il pessimo strumento del green pass va letto dentro queste coordinate); la trasformazione della salute in un terreno di controllo più che di tutela.

Riconoscere che i vaccini hanno avuto un ruolo importante nella riduzione della mortalità per Covid-19 non significa ignorare le distorsioni del dibattito, né tantomeno accettare che la scienza venga usata come scudo retorico a copertura di scelte politiche discutibili. È possibile affermare entrambe le cose: che l’evidenza scientifica complessiva è solida e che la gestione pandemica ha prodotto effetti collaterali gravi sulla società. Rifiutare questa complessità è il vero limite della discussione attuale, per non parlare di quanto le polarizzazioni feroci in Rete indeboliscano il pensiero critico e il suo necessario orientamento antiliberista.

Forse è arrivato il momento di superare la logica binaria che ha caratterizzato gli ultimi anni e di costruire una riflessione che sappi tenere la complessità, capace di distinguere tra ciò che ci dice la scienza, ciò che producono le politiche e ciò che serve davvero alla società. E mostrare il filo tra la gestione pandemica e il ritorno della politica e della retorica guerresca che ha invaso le nostre vite dall’inizio del 2020 (7, 8).

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Il Fatto Quotidiano

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