Autunno 2025: ecco il vero inizio del XXI Secolo (La storia dell’arte lo aveva previsto)

  • Postato il 18 novembre 2025
  • Attualità
  • Di Artribune
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Venticinque anni di “vuoto”, di sospensione, di apnea storica separano il Novecento dal mondo che sta nascendo. E la storia dell’arte – prima ancora della politica – ce lo aveva già detto. 
È nelle arti visive, nella musica, nel cinema, nella letteratura di fine Anni Novanta e dei primi Anni Zero che si percepisce una soglia, una vibrazione sottile: il presentimento di un mondo che non c’era ancora, ma stava per arrivare. 
Come scrive Christian Caliandro, tra il 1993 e il 2003 si è prodotta una straordinaria stagione di sperimentazione per montaggio, un remix creativo di codici e linguaggi: Tarantino, Tim Burton, Matrix, Wallace, Gibson, i Bluvertigo, gli Smashing Pumpkins, Cattelan, Tracey Emin. Tutto sembrava possibile, tutto fluiva in una centrifuga di riferimenti che costruiva un immaginario nuovo, espanso, postmoderno. Poi, improvvisamente, quella spinta si è esaurita. 

Il grande “Interregno”: quando l’arte annunciava il blocco del mondo 

Caliandro lo chiama Interregno: un lungo tratto tra il Novecento e un nuovo secolo che non riusciva a nascere. 
La sperimentazione si è chiusa in sé stessa, la citazione è diventata manierismo, la creatività ha iniziato a imitare il proprio passato. In parallelo, la politica occidentale entrava in quella stessa spirale: elezioni fotocopia, discorsi pubblici appiattiti, leader intercambiabili. Il postmodernismo – da linguaggio liberatorio – si trasformava in conformismo; la fine della storia, le illusioni post Muro si sono rapidamente trasformati in neonazionalismo e imperialismo. 
Nell’arte contemporanea il mercato chiedeva opere riconoscibili, vendibili, status symbol; la radicalità veniva spenta in favore della “monodimensionalità” (Germano Celant): la commercializzazione avrebbe sostituito l’alterità. 
Questa lunga sospensione – culturale e politica – è durata vent’anni. Finché la storia non ha presentato il conto: pandemia, crisi sistemica occidentale, guerre, Gaza. Ed è qui che la politica ha ricominciato, finalmente, a somigliare all’arte. 

La linea rossa della Generazione Z: la politica che l’arte aveva anticipato 

Per un decennio abbiamo chiamato la Generazione Z “silenziosa”. Ma quel silenzio non era apatia: era una sottrazione tattica, un modo per salvarsi dal rumore sterile del mondo adulto, impregnato di ideologie esauste e parole consumate. 
Poi è arrivata Gaza, e una generazione intera ha parlato. Hanno riempito piazze e università, tracciando quella che Alessandro Baricco ha chiamato la linea rossa, non politica ma morale. Una linea che attraversa tutte le ferite del Novecento – trincee, lager, atomiche, genocidi – e che dichiara concluso quel secolo nella coscienza dei viventi. 
Questa generazione non vuole rifondare ideologie, ma costruire comunità, non cerca patrie, ma reti di senso, non chiede rappresentanza, chiede riconoscimento. 
I dati dell’Osservatorio Teen’s Voice – dieci anni di ricerche – realizzato da Campus insieme alla Università la Sapienza, lo mostrano chiaramente. Valori netti, universali, quasi elementari nella loro forza: giustizia, equità, differenze, solidarietà, responsabilità personale. 
È la stessa grammatica morale che ritroviamo nell’arte radicale e scomoda degli anni Novanta; è la stessa scintilla che, seppellita dal conformismo degli anni Zero, riemerge oggi nei movimenti globali. 

Mamdani a New York: l’arte come prefigurazione politica 

L’elezione di Zohran Mamdani a sindaco di New York non è un episodio, è il primo segnale evidente che la generazione post-ideologica è entrata nel teatro della storia. Dove l’arte aveva anticipato la dissoluzione dei vecchi codici, Mamdani incarna la loro sostituzione: inclusione, antirazzismo, giustizia sociale, visione comunitaria. La storia dell’arte lo aveva previsto perché l’arte, prima di tutto, intercetta le possibilità collettive, ciò che ancora non è reale, ma è già vero. 

Il Nuovo Secolo comincia adesso con il movimento attivato dalla Gen Z 

Siamo usciti dal grande Interregno. Non siamo più nel tempo sospeso del postmodernismo infinito, né nella superficie patinata degli Anni Zero. Il XXI Secolo – quello reale – comincia ora, nel momento in cui una generazione globale prende parola e mette in discussione i pilastri del Novecento: nazione, forza, verticalità del potere, identità fisse, crescita illimitata e disegna un ambiente digitale, interconnesso, leggero in un certo senso lontano dall’iconografia della Storia ma immerso nella storia della gente. 
L’arte ci aveva mostrato il passaggio dalla citazione al collasso, dal collasso alla ricerca di nuovi codici. La politica, oggi, ripete quello stesso movimento, dal rumore al silenzio selettivo, dal silenzio all’emersione. La generazione che credevamo muta sta costruendo il primo spazio di globalità emotiva e morale della storia
 
Domenico Ioppolo 

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Artribune

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