Auto e mercato, i quattro macigni che frenano l’industria automotive europea
- Postato il 5 luglio 2025
- Fatti A Motore
- Di Il Fatto Quotidiano
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Come Sisifo, condannato a spingere il masso su per la montagna solo per vederlo rotolare giù ogni volta, così l’industria automobilistica europea si ritrova in un ciclo infinito di sforzi e cadute, destinato a continuare anche nel secondo semestre di quest’anno. Sono quattro i macigni che oggi mettono in crisi il settore: il mancato accordo commerciale con gli Stati Uniti, le terre rare, la pressione continua sui prezzi e un mercato elettrico che non ingrana.
Quattro problemi diversi che si alimentano a vicenda e obbligano i costruttori a riscrivere strategie e aspettative. Il primo ha un nome concreto: tariffe doganali. L’attuale dazio del 25% sulle auto europee importate negli Stati Uniti, per gli analisti di Bloomberg, pesa come un’ipoteca da quasi 5 miliardi di euro l’anno, con le Case tedesche che sono tra le più colpite. Uno scenario più “morbido”, con dazi al 7,5% come nel Regno Unito, ridurrebbe i danni, nel frattempo gli investimenti di lungo periodo – in ricerca, elettrificazione, software – vengono rallentati dall’incertezza.
Il secondo ostacolo è rappresentato dalla discrezionalità Cina sulle esportazioni di terre rare, cruciali per i motori elettrici. Restrizioni che hanno già portato alla chiusura di diverse linee di produzione e impianti in tutta Europa.
Il terzo macigno è invisibile ma letale: la pressione continua sui prezzi. In Cina, dove BYD ha abbassato i prezzi fino al 35%, anche Audi, BMW e Mercedes offrono sconti consistenti, tra il 25% e il 35%, secondo i dati della società di consulenza sul mercato auto China Auto Market. Anche i dati JATO per l’Europa e di Edmunds per gli USA segnalano un aumento degli sconti. Così i margini operativi dei brand si assottigliano e gli analisti hanno già tagliato le stime per il 2025 e 2026.
Il quarto fronte è quello dell’elettrificazione. Dopo anni di piani, slogan e investimenti miliardari, la domanda di auto a zero emissioni in Europa stenta. Secondo un’analisi di Bloomberg Intelligence sui dati Jato, solo il 16% dei consumatori intende acquistare un’elettrica nei prossimi 12 mesi. Il prezzo resta una barriera (+27% in Europa rispetto alle termiche), ma il vero problema è l’infrastruttura: le colonnine non bastano, e l’ansia da durata è ancora alta. Intanto in Cina, crescono le vendite delle auto elettriche sotto i 30.000 euro, dominate da marchi locali. Le Case europee, spesso fuori da quel segmento, restano ai margini. Volkswagen, ad esempio, ha visto il peso della Cina sui suoi utili scendere a livelli minimi – intorno al 10% – con ulteriori rischi di ribasso fino al 2027, quando arriverà la nuova generazione di modelli.
Nel contesto attuale, con le fabbriche europee sovradimensionate rispetto alla domanda reale, solo chi ha bilanci solidi o tecnologie distintive può reggere l’urto. Per gli altri – non solo i piccoli produttori di elettriche – l’ipotesi di un consolidamento diventa concreta. Chi non riesce neppure a spingere il proprio masso verso la cima, dovrà unirsi a chi ha spalle più larghe. Ad esempio la dimensione di Renault – che sotto de Meo ha rimesso in sesto i conti – potrebbe rimane comunque contenuta. Ha già una collaborazione solida con Geely, colosso cinese che controlla tra gli altri Volvo e Polestar, e alcuni analisti non escludono una fusione tra Renault e Volvo. Per ora un’ipotesi e pure estrema, ma in un settore che brucia miliardi tra elettrificazione, software e piattaforme condivise, restare piccoli e indipendenti potrebbe significare tornare ogni volta a valle, come il povero Sisifo. Per quanto tempo si potrà reggere questa fatica?
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