Attentato in Kashmir, la reazione forte dell’India contro il Pakistan rischia di isolarla: serve la diplomazia
- Postato il 2 maggio 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Il 22 aprile 2025, l’India è stata colpita da un attacco terroristico a Pahalgam, nel Kashmir amministrato da Nuova Delhi, che ha causato la morte di 26 persone. Immediatamente, il governo indiano ha puntato il dito contro il Pakistan, accusandolo senza fornire alcuna prova concreta. La reazione è stata forte e immediata, ma, secondo me, più che una vera ricerca della giustizia, questa sembra una mossa calcolata, parte di una strategia politica più ampia.
La cosa che mi ha colpito di più è che l’India ha definito l’attacco come “il nostro 7 ottobre”, un chiaro riferimento agli attacchi di Hamas contro Israele nel 2023. Un paragone che, a mio avviso, è non solo esagerato, ma soprattutto funzionale a un gioco politico molto pericoloso.
Io credo che questo “7 ottobre” non sia solo una retorica infiammante, ma un tentativo deliberato di sfruttare la tragedia per alimentare il nazionalismo e giustificare una politica estera aggressiva. Il governo di Modi sta cercando di presentare questo attacco come l’equivalente di un evento che ha scosso profondamente il mondo intero, per poi utilizzare quel clima di paura e indignazione come una leva per consolidare il consenso interno e spingere l’India in una direzione più bellicosa.
A fronte di questa situazione, l’India ha deciso di sospendere unilateralmente il Trattato delle Acque dell’Indo (Indus Waters Treaty), un accordo storico che regola l’uso delle risorse idriche tra India e Pakistan dal 1960. La giustificazione ufficiale? “Terrorismo transfrontaliero”. Ma, secondo me, la realtà è che questa mossa non ha molto a che fare con la sicurezza, bensì molto di più con una spinta politica verso l’alto.
L’India non ha né le infrastrutture né la capacità di fermare il flusso d’acqua in modo decisivo, ma sospendere il trattato invia un messaggio forte al Pakistan e alla comunità internazionale. È un segnale di potere, di dominio, di controllo su un elemento vitale come l’acqua. Ma la verità, a mio avviso, è che questa potrebbe trasformarsi in una doppia sconfitta per l’India, isolandola diplomaticamente e riducendo la sua influenza nelle trattative future.
Il Pakistan ha reagito prontamente, respingendo le accuse e chiedendo un’inchiesta internazionale. Mi sembra che Islamabad stia cercando di mantenere la calma e di impedire che questa crisi diventi una vera guerra. La minaccia di sospendere l’Accordo di Shimla del 1972, che regola i rapporti bilaterali e impedisce l’intervento internazionale sulla questione del Kashmir, è una mossa significativa. Io credo che il Pakistan stia cercando di mantenere una posizione diplomatica più solida, evitando di rispondere con la stessa aggressività dell’India. Se davvero sospendesse questo accordo, però, l’India potrebbe trovarsi senza la protezione che questo trattato le garantisce, e la questione del Kashmir potrebbe tornare sotto l’attenzione internazionale in modo incontrollabile.
La vera posta in gioco qui non è tanto l’acqua o il terrorismo, quanto una questione di potere e geopolitica. Il governo di Modi sembra aver preso la decisione consapevole di sfruttare l’attacco per alimentare il nazionalismo indiano, distrarre l’opinione pubblica dalle difficoltà interne e preparare il terreno per una politica estera più assertiva. C’è una volontà chiara di rafforzare la propria posizione interna e internazionale a discapito del Pakistan, ed è per questo che, secondo me, l’India sta utilizzando la tragedia come un pretesto.
Il paragone con “il nostro 7 ottobre” è un’arma potente, ma non priva di rischi. In un mondo sempre più diviso, in cui le tensioni geopolitiche si fanno sempre più evidenti, la politica di Modi rischia di portare l’India e il Pakistan verso un conflitto che potrebbe sfuggire di mano. Ogni azione violenta potrebbe far precipitare la situazione, e il rischio di un’escalation militare, anche nucleare, è più concreto che mai.
Penso che la comunità internazionale debba essere pronta a intervenire subito, in particolare gli Stati Uniti e la Cina. Gli Stati Uniti hanno già avviato colloqui urgenti con entrambi i Paesi per evitare che la situazione si trasformi in un conflitto totale. La Cina, dal canto suo, continua ad appoggiare il Pakistan e a intensificare la sua influenza nella regione. I due Paesi sono alleati strategici, e questo rende ogni mossa dell’India ancora più delicata.
Quindi, cosa succederà ora? Personalmente, credo che la strategia dell’India rischi di essere più controproducente di quanto il governo Modi si aspetti. Sospendere trattati, incitare il nazionalismo e fare del terrorismo un pretesto per una politica aggressiva potrebbe isolare l’India dalla diplomazia internazionale, spingendo Pakistan e alleati verso una posizione più forte. Se la guerra non è nell’interesse di nessuno, come giustamente sottolineano molti analisti, allora deve prevalere la ragione. Bisogna evitare che una tragedia venga utilizzata come leva per obiettivi politici che potrebbero destabilizzare l’intera regione.
La diplomazia, in questo caso, è l’unica soluzione. I governi di India e Pakistan devono mettere da parte l’intransigenza e iniziare un dialogo reale, mediato, che porti a un compromesso, evitando che un conflitto nucleare diventi la tragica eredità di una crisi mal gestita.
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