Attacco di Erdogan alle donne: le eredità non saranno più divise equamente né davanti a un notaio

  • Postato il 20 giugno 2025
  • Mondo
  • Di Il Fatto Quotidiano
  • 2 Visualizzazioni

Nella Turchia distopica e, al contempo, regredita in termini di Stato di diritto ai secoli più bui dell’impero Ottomano, l’autocrazia incarnata dal presidente Recep Tayyip Erdogan ha sferrato, attraverso una riforma legale, un ennesimo durissimo colpo al principio di uguaglianza dei cittadini. Sembra una inezia, di fronte al caos mondiale, ma questa riforma cancella i diritti dei più deboli tra gli oltre 80 milioni di turchi, ovvero donne e anziani, con l’eliminazione dell’obbligo per gli eredi di dividere equamente i beni. Subito dopo essere stata annunciata, la riforma ha innescato l’allarme delle attiviste per i diritti delle donne, che temono possa aggravare le disuguaglianze e l’incertezza giuridica per i gruppi vulnerabili.

A causa del nuovo sistema, gli eredi possono ora decidere come dividere tra loro i beni immobili ereditati tramite un testamento scritto. Il problema nel problema è che la trattativa può essere fatta senza la supervisione dei notai o l’intervento formale delle istituzioni pubbliche.

Secondo i legislatori, la modifica mira ad accelerare le procedure di successione e a ridurre i conflitti familiari. In realtà si tratta di un aggiramento, e anche di un raggiramento del codice civile. Le nuove norme sono state introdotte tramite una direttiva emanata dalla Direzione Generale del Catasto, basata su un emendamento del 2024 alla Legge sulla Mediazione, anziché sul Codice Civile, che disciplina le successioni. In un commento sui social media, l’avvocata Işıl Kurnaz ha descritto questa modifica come “una frode ai diritti ereditari delle donne. L’uso della mediazione nelle controversie familiari, dall’eredità al matrimonio, rafforza la diseguaglianza delle donne. La Costituzione e il Codice Civile garantiscono questi diritti. Non è possibile cancellarli con una legge direttiva o di mediazione”.

Anche la Federazione delle Associazioni Femminili Turche ha affermato che la riforma mina la parità di genere: “Questo cosiddetto approccio di ‘condivisione consensuale’ non offre alle donne, già sotto pressione economica e sociale, specialmente nelle aree rurali, un ambiente di negoziazione equo. Si tratta di una violazione del diritto di proprietà”.

L’attivista per i diritti delle donne, İlknur Turfanda, ha criticato il cambiamento sui social media, affermando: “Stiamo entrando in un’era in cui i forti prendono ciò che vogliono e i deboli restano in silenzio. Le donne, gli anziani e coloro che vivono nelle zone rurali sono ora alla mercé dei parenti maschi urbani. Questa legge legalizza la disuguaglianza e la coercizione nell’eredità. Non è uno snellimento della burocrazia, è ingiustizia”.

Il ritorno al patriarcato, del resto, è una delle cifre di questa seconda decina dell’era Erdogan. Non è solo una narrazione, è realtà, seppur distopica: riduzione dei diritti delle donne, anche sotto l’aspetto economico consigliando loro di non lavorare ma “fare almeno tre figli per la Patria” – come ha più volte tuonato negli ultimi anni il Sultano durante i comizi pubblici – e il costante aumento della spesa per la Difesa. Ankara, va ricordato, è membro storico della Nato, a cui fornisce il secondo esercito più potente e di cui dovrebbe essere il baluardo sud-orientale. Ruolo ora rafforzato dall’empatia personale e politica tra il presidente Trump ed Erdogan. Una special relationship basata sulla dottrina del ‘Business First’ anche in ambito geopolitico; sulla aspirazione, condivisa peraltro dal Cremlino, alla ricostruzione delle aree di influenza come durante il tempo degli Imperi Ottocenteschi e sul costante lavorio per svuotare da dentro la democrazia accusandola di non essere più adatta ai ritmi iper-veloci della contemporaneità che richiederebbe decisioni altrettanto rapide. A coté di questa strategia, la Difesa infiltrata dalla lobby delle armi che annovera tra i maggiori produttori il consuocero di Erdogan, Bayraktar, è ora ben lieta di annunciare che il sistema integrato di difesa aerea della Turchia, noto come Steel Dome (Cupola d’Acciaio) continua ad espandere le propria capacità, rafforzando la sicurezza aerea del Paese con un’architettura multistrato sviluppata a livello nazionale.

Ed è così che in questa autocrazia islamo-militare turca accade addirittura che, sotto gli occhi indifferenti della comunità mondiale, vengano arrestati, anche più volte, gli avvocati dei rivali politici del Sultano a propria volta arrestati in seguito ad accuse prefabbricate da una magistratura ormai al guinzaglio del governo, guidato dall’Akp, il partito di Erdogan. Uno dei legali che rappresenta Ekrem Imamoglu, il sindaco di Istanbul sospeso dallo scorso marzo e in custodia cautelare da allora, è stato arrestato nell’ambito di una nuova indagine che coinvolge la municipalità della megalopoli sul Bosforo.

L’avvocato Mehmet Pehlivan è stato arrestato ieri sera dopo essere stato convocato dalla Procura Generale di Istanbul. Pehlivan si è rifiutato di testimoniare, adducendo la mancanza dell’autorizzazione richiesta dal ministero della Giustizia ai sensi della Legge sull’Avvocatura. A seguito del suo rifiuto, la Procura ha richiesto il suo arresto con l’accusa di “appartenenza a un’organizzazione criminale“. Pehlivan è stato successivamente portato davanti a un giudice penale di pace, che si è pronunciato a favore della sua detenzione.

Il giovane avvocato era già stato arrestato il 27 marzo ai sensi della Legge sulla prevenzione del riciclaggio dei proventi da reati. Dopo aver rigettato tutte le accuse è stato rilasciato il giorno seguente però con il divieto di lasciare il Paese.

Secondo il fascicolo, la Procura Generale di Istanbul sta trattando Imamoglu come “sospettato di essere a capo di un’organizzazione criminale”. İmamoğlu è stato arrestato il 19 marzo e rinviato in custodia cautelare quattro giorni dopo con l’accusa di corruzione, scatenando proteste diffuse in tutto il Paese, in particolare a Istanbul. Il ministero dell’Interno lo ha sospeso dalle sue funzioni di sindaco dopo il suo arresto, mentre il principale partito di opposizione, il Partito Popolare Repubblicano (CHP), ha dichiarato İmamoğlu candidato alla presidenza per le prossime elezioni, previste per il 2028.

Sebbene l’opposizione ritenga che la detenzione di İmamoğlu abbia motivazioni politiche, essendo l’unico sfidante dato per vincente dai sondaggi su Erdogan, l’indagine si sta espandendo.

Quel primo intervento aveva portato a 94 arresti, di cui 54, tra cui İmamoğlu, posti in custodia cautelare. Una seconda ondata è seguita il 26 aprile, arrestando 52 persone e 18 persone, tra cui il cognato di İmamoğlu, Cevat Kaya, e il direttore della pianificazione di Boğaziçi, Elçin Karaoğlu.

Una terza ondata, il 20 maggio, ha preso di mira le filiali comunali con 20 arrestati. La quarta operazione, il 23 maggio, ha portato a 46 arresti e 25 arresti, mentre altre 22 persone sono state arrestate il 3 giugno a seguito di una quinta ondata di operazioni.

L'articolo Attacco di Erdogan alle donne: le eredità non saranno più divise equamente né davanti a un notaio proviene da Il Fatto Quotidiano.

Autore
Il Fatto Quotidiano

Potrebbero anche piacerti