Assad, una storia. Cristiano racconta la Siria, ieri e oggi, a un anno dalla fine del regime

  • Postato il 7 dicembre 2025
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  • Di Formiche
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Cinquant’anni di oppressione e ferocia sono svaniti in un battibaleno; tutto è finito nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 2024. 55 figure eccellenti, le punte di diamante del regime, appena vennero a sapere che Assad era decollato alla volta di Mosca, si precipitarono alla base russa di Hmeimim, per fare altrettanto.

Qualcuno decollò da Damasco avvalendosi di jet privati, The New York Times ha citato ad esempio Qahtan Khalil, direttore dell’intelligence dell’aeronautica, fuggito dopo un precipitoso prelievo in ufficio di un milione di dollari cash. Nessuno sa dire quanti milioni di dollari furono imbarcati in quelle ore e quanti lingotti d’oro dissero addio alla Siria. Successivi report internazionali hanno affermato che l’oro della riserva nazionale, che avrebbe dovuto essere custodito nel caveau della Banca centrale, fosse sparito.

Eppure tanta convulsione sorprende. Da quando tutti, a cominciare dai russi, avevano assistito immobili all’inizio della marcia di Ahmad al Sharaa, allora noto con il nome di battaglia di Muhammad Abu Joulani, verso Damasco, lasciandogli conquistare in poche ore Aleppo, la seconda città del Paese, si era capito che la Siria era persa per Assad e i suoi.

Anche gli statunitensi, basati nel nord-est del Paese, lasciarono fare. I turchi invece avevano armato la colonne dell’allora Joulani. Possibile che i gerarchi non sapessero, non si fossero organizzati? Possibile, come è stato scritto, che il potentissimo capo dei servizi d’intelligence, architetto delle segrete di Stato, abbia saputo solo all’alba che il capo fosse fuggito da ore per Mosca? La segretezza è sempre stata l’ossessione del regime: segretezza che prevedeva però di prendere nota di tutto, documentare tutto, e custodirlo nei propri archivi segreti.

Così un anno dopo, cioè in queste ore, riaffiora l’hard-disk dell’orrore; come un regime ha seviziato un popolo è documentato lì. In quell’hard disk, la cui esistenza è stata documentata da El Pais, ci sono le immagini di ben più di 100mila desaparecidos siriani, ridotti a scheletri, lungamente torturati, poi finiti. La macchina della morte non è tutta qui, l’apertura dei penitenziari di massima sicurezza del regime ha mostrato le presse in cui i corpi venivano ridotti in poltiglia per farli meglio sparire, poi la scoperta di tante fosse comuni ha mostrato il disprezzo  per i cadaveri.

Il disprezzo è stato un tratto importante di questa storia. Sappiamo da accurate analisi di studiosi del regime che Assad-il-giovane diceva al suo circolo ristretto, a chi gli era più vicino nei giorni felici della successione dinastica al padre, che c’era un solo modo per governare, “mettergli le scarpe in faccia”. Dunque lo slogan dei suoi paramilitari, “Assad o bruceremo il Paese”, andava preso sul serio, non era un’esagerazione o un modo di dire.

Dall’inizio della storia della dinastia fondata dal golpista Hafez al-Assad, c’è un altro tratto importante: la famiglia. Hafez al Assad sposò una Makhlouf e i Makhlouf sono diventati una famiglia parte della sua famiglia, i cassieri dello Stato parallelo che cominciò a prendere forma subito dopo il matrimonio. Una famiglia unita dalla sostituzione di sé stessa ed i suoi accoliti allo Stato. Tutto passava attraverso di loro, tutto doveva concludersi nelle loro tasche.

Quando, mesi prima dei fatti del 2024, l’ultimo dei Makhlouf cadde in disgrazia, finì la famiglia e quindi la cupola che aveva governato per mezzo secolo la Siria. Successivamente a questo cedimento strutturale della tolda che copriva e univa i pirati che si erano impossessati della Siria, sopraggiunse il cedimento dell’ultimo motore non ancora in avaria, il ritiro dei miliziani di Hezbollah, i soli che tenevano in piedi la struttura ormai esposta a tutti i venti della storia. Dovevano tornare in Libano per difendere il loro fortino assediato. Mancava poco a veder scorrere la famosa scritta The End.

Forse la storia di questo regno delle tenebre è stata archiviata troppo in fretta. Forse la prontezza con cui il regime è stato sostituito (quasi tutti fuggiti a Mosca, ma del fratello di Bashar, Maher al Assad, non si sa, forse è in Iran) non ha consentito una vera ricostruzione della memoria, un’opera collettiva di giustizia e riconciliazione.

Riconciliazione non certo con i gerarchi, ma tra le comunità che portano i segni di mezzo secolo vissuto acuendo i loro contrasti, esasperandoli, per comandare. Così le colpe sono rimaste non individuali ma comunitarie, e le vendette sono seguite, disgustose. Ora servirebbe un lavoro complesso per riconciliare individuo e comunità: garantire le comunità di fede, dare diritti agli individui; dovrebbe essere questa l’impresa istituzionale da rifare Paesi strutturalmente complessi, come fedi e come etnie. La comunità non può essere una gabbia, l’io non può diventare un sovrano assoluto, quindi anche orfano.

Molti si sono esercitati nel corso del tempo a stilare la classifica dell’orrore: peggio Saddam o Hafez, per non dire del macellaio cieco (sebbene laureato in oftalmologia), Bashar? Hafez e Saddam appartenevano allo stesso partito, panarabista e laico, da loro trasformato in due gang ai ferri corti. Comunque meglio Hafez, rispondono quasi tutti.

Hafez al-Assad capiva benissimo la politica e gli equilibri regionali, ma lo faceva mentre stava seduto in cima a una piramide di scheletri. Certamente la storia di Hafez al Assad è stata centrale nella trasformazione dei governi laici e panarabisti in regimi di militari golpisti, costruiti sul culto della personalità e sul terrore. È una storia da capire, perché ci porta al di là della semplificazione.

Autore
Formiche

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