“Alto Tradimento”, il libro-inchiesta sulla “grande fuga” degli Agnelli-Elkann da Torino tra silenzi e complicità. L’estratto in anteprima esclusiva
- Postato il 15 maggio 2025
- Libri E Arte
- Di Il Fatto Quotidiano
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È in libreria dal 14 maggio Alto Tradimento di Francesco Bonazzi, un’inchiesta senza sconti – e senza nostalgia – su come gli Agnelli-Elkann hanno abbandonato l’Italia (con l’aiuto di molti) incassando dividendi, consensi e silenzi prima di sbaraccare e spostare tutto altrove: fabbriche, soldi, cuore. Il libro sarà presentato dall’autore in anteprima al Salone del Libro di Torino venerdì 16 maggio assieme al sindacalista Giorgio Airaudo e al giornalista Ettore Boffano.
Tra paradisi fiscali, rendite pubbliche, cortigiani bipartisan e il nuovo riarmo high-tech che trasforma Torino nella capitale europea delle armi con un un ribaltamento epocale, Bonazzi firma un racconto che taglia in profondità il sistema di potere economico e politico che ha accompagnato (e avallato) la fuga della famiglia Agnelli.
Pubblichiamo in anteprima, per gentile concessione dell’editore, il primo capitolo del libro: La capitale silenziosa.
Capitolo 1. LA CAPITALE SILENZIOSA
Il cuore segreto di Torino non è sospeso per aria come sembra. Se si entra in città da Collegno, dove per oltre un secolo c’è stato il più grande manicomio d’Italia, costeggiando i prati dell’Aero Club si arriva a una piccola rotonda sulla quale svetta un aereo da guerra puntato verso le Alpi, issato per la coda su un supporto di metallo come quelli per i rasoi o i pennelli da barba. O per i missili. È un Amx Ghibli dell’aeronautica militare italiana, un cacciabombardiere leggero prodotto nei primi anni Ottanta da Aeritalia, Aermacchi e dai brasiliani di Embraer. Lo abbiamo usato per la prima volta per bombardare il Kosovo e la Serbia, nell’estate del 1999. Adesso è in pensione, ma l’esercito brasiliano lo usa ancora con profitto. Il primo volo del Ghibli è stato il 15 maggio del 1984, ai comandi c’era il pilota Manlio Quarantelli, che alla quinta uscita, il primo giugno seguente, si è schiantato al suolo ed è morto, riuscendo a evitare il centro abitato e facendo scattare il meccanismo di autoespulsione solo all’ultimo, quando è stato sicuro di non fare vittime. Ghibli è anche il nome di una berlina della Maserati. Che fantasia.
Quella rotonda al confine tra Collegno e Torino è intitolata a Quarantelli e al suo aereo che poteva sganciare sei bombe “mk 82” di fabbricazione americana da duecentoventisette chili su una distanza di trecentotrenta chilometri. Su un lato del monumento alato, c’è uno degli ingressi blindati di Thales Alenia Space, joint venture italofrancese tra Thales e Leonardo con circa duemilacinquecento dipendenti in Italia. Fabbricano satelliti e sistemi spaziali, ma non solo.
L’area compresa tra corso Marche, Strada antica di Collegno, corso Francia e via Giacomo Leopardi, dove tra le due Guerre sorgevano gli stabilimenti dai quali fiat Aeronautica sfornava gli aerei da guerra e i blindati di Iveco, oggi ospita Thales e un grande insediamento di Leonardo Finmeccanica. E qui si svilupperà il progetto Diana, varato dalla Nato mentre pensavamo al Covid, e che ha scelto Torino come capitale europea della sperimentazione di nuove armi e sistemi di di- fesa. Il motto del progetto Diana, la dea della caccia, è: «Uniting disruptors to shape a peaceful future». Ovvero «mettere insieme gli innovatori per modellare un futuro di pace». Un po’ come se il motto dell’Associazione cacciatori fosse: «Andare nei boschi per assicurare una convivenza pacifica tra gli animali».
Diana comunque è una faccenda seria e darà una forma, un contenitore, un respiro internazionale alla nuova capitale italiana delle armi: Torino. E anche una delle nuove capitali d’Europa.
Dal 2023 la sede di Diana è in centro città, alle ex Officine Grandi Riparazioni (naturalmente un’ex area industriale della Fiat), e nel 2026 si sposterà nella nuova “Città dell’Aerospazio” intorno a corso Marche. Ci sono già stanziamenti per trecento milioni del pnrr e altri o ottocento milioni da settanta aziende che si stabiliranno nell’area. Ma i soldi aumenteranno, e anche molto, perché l’Italia si è impegnata con gli alleati ad arrivare a una spesa per la difesa pari al due per cento del pil e sullo spazio, comparto decisamente collaterale alle armi, ha puntato decine di miliardi. In più, dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, l’Unione europea ha varato il piano ReArm Europe, con un budget mostruoso da ottocento miliardi. Torino è in prima linea, con la sua cultura industriale, con la sua profonda discrezione, per raccogliere questa pioggia di denaro dei cittadini. E anche di risparmiatori e investitori, visto che banche e fondi pensione sono già al lavoro per cambiare statuti e codici etici allo scopo di poter investire nella difesa anche se magari, negli anni scorsi, in omaggio alla moda della “finanza etica” hanno dovuto inserire suore, preti ed esponenti del volontariato in Consiglio di amministrazione.
Sempre nell’ex capitale dell’automobile, Leonardo (controllata dallo Stato) coordina tre progetti per la nuova difesa dell’Unione: il sistema di navigazione satellitare Galileo, finanziato da Bruxelles con 35,5 milioni di euro; quello di “tecnologia sicura” Essor, che ha ricevuto 34,6 milioni; e il progetto degli anti-droni Jey Cuas, che costerà altri tredici milioni.
Ovviamente c’è grande spazio per il rinomato Politecnico di Torino, che non solo fornisce i cervelli per sperimentare gli armamenti del futuro, ma anche la necessaria copertura d’immagine alla riconversione industriale in atto. Il “Poli”, come lo chiamano qui, è a tutti gli effetti il braccio armato delle amministrazioni locali in questa transizione epocale. Il suo coinvolgimento nel riarmo torinese è diventato talmente smaccato che a marzo del 2025 il rettore, Stefano Corgnati, ha dovuto far approvare delle norme che limitano le attività di ricerca in campo militare solo alle «attività di difesa». Come se distinguere le tecnologie di “difesa” da quelle di “attacco” fosse semplice. Però, adesso al “Poli” hanno il loro bel «Regolamento per l’integrità della ricerca», approvato all’unanimità, e il titolo del comunicato stampa era «Iniziative di pace al Politecnico». Per cui in città stanno comunque tutti tranquilli, anche i politici che sfilano dietro la bandiera della pace, o vanno a rendere omaggio al Sermig di Ernesto Olivero e celebrano i famosi “Santi sociali” di Torino.
Questo “Quadrilatero della Difesa e del Volo” (così lo avrebbero chiamato ai tempi del Fascio) occupa centottantamila metri quadrati alla periferia Ovest della città. È la metà degli spazi dell’ex manicomio di Collegno, ma è anche oltre la metà dei trecentomila metri quadri dell’area oggi denominata “Mrf Industrial Hub”. Si tratta della parte per ora più rilevante del progetto di una società apposita chiamata “Tne-Torino Nuova Economia”, partecipata da Regione Piemonte, Comune di Torino e, in minima parte, da Stellantis (2,28 per cento) per la riqualificazione delle aree dismesse di Mirafiori. Che senso abbia coinvolgere il venditore delle aree nell’azionariato del veicolo compratore è il tipico mistero di casa Fiat e del suo ex cortile chiamato Torino.
Nell’area Mrf si è già insediata la Cittadella del Design e della Mobilità, punta di diamante del Politecnico (…). C’è un po’ di tutto, insomma, come le foglie e i rami sugli elmetti dei soldati in mimetica. E sono ottimi biglietti da visita per un ente a maggioranza pubblica che sta smantellando un pezzo importante di Mirafiori, la super fabbrica che con i suoi due milioni di metri quadri è stata l’area industriale più grande d’Europa. Qui sono stati prodotti modelli di successo come le 500 e le 600, la 127 e la 124, la Uno e la Punto. Dalle presse di Mirafiori alla Coop è un bel salto, non c’è che dire. Ma in fondo, quando al Lingotto sono arrivati Eataly e Slow Food, su idea dei compagni Oscar Farinetti e Carlo Petrini, non era forse tutto già scritto? Solo che dalla salsiccia di Bra alle bombe il passo non era proprio scontato.
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