Allevamenti, così veterinari e zootecnici si fanno la “guerra” sui certificati di qualità. E a perderci sono i consumatori
- Postato il 1 luglio 2025
- Ambiente
- Di Il Fatto Quotidiano
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Una certificazione per ottenere i fondi europei della Politica agricola comune (Pac) potrebbe mettere a rischio la qualità del cibo che mangiamo ogni giorno. La Pac 2021-2027 per l’Italia vale oltre 37 miliardi di euro, e tra le certificazioni che aziende e privati devono avere per richiedere i finanziamenti c’è la SQNBA, Sistema di qualità nazionale benessere animale: una certificazione nazionale, su base volontaria, che definisce procedure e standard di qualità dell’allevamento degli animali, “mediante la valutazione di parametri stabiliti su base scientifica”, si legge sul sito del ministero dell’Agricoltura. L’attestazione, che va presentata entro settembre 2025, riguarda la produzione di carne e pesce e il miglioramento della loro qualità e attraverso un processo produttivo che punta alla sostenibilità ambientale. Ma c’è un problema: troppo pochi certificatori. La questione è al centro di una diatriba tra medici veterinari e zootecnici, i laureati in Scienze delle produzioni animali – che è arrivata perfino sulla scrivania del Presidente della Repubblica.
Il decreto interministeriale del 2 agosto 2022, firmato dai ministeri dell’Agricoltura e della Salute, ha definito l’area di intervento della certificazione e le figure che avrebbero potuto fare da valutatori: nel testo si legge che la valutazione dev’essere “condotta da un veterinario, per quanto riguarda i settori della sanità animale, della biosicurezza, del benessere animale e del farmaco veterinario, e da un laureato in Scienze e tecnologie agrarie o titoli equiparati per quanto riguarda il settore delle emissioni dello stabilimento”. Queste due figure devono operare in team, ognuno per le proprie competenze, con il coordinamento del veterinario. Ed è proprio questa la problematica. “Stiamo assistendo a team costituiti solo da veterinari, perché chiamare due persone per la certificazione aumenta i costi”, spiega a ilfattoquotidiano.it Emiliano Lasagna, presidente nazionale dell’associazione dei laureati in Produzioni animali. Inoltre, denuncia, “i veterinari abilitati a poter fare questo tipo di certificazione sono molto pochi, perché devono fare una specifica formazione post laurea”. E quest’ultima, come indicato da una circolare interministeriale, può essere fatta, tra gli altri soggetti, anche dall’Ordine nazionale dei dottori agronomi e forestali, a cui i laureati in Scienze delle Produzioni animali fanno riferimento. “Il paradosso è che i corsi di abilitazione li facciamo anche noi ai veterinari per questa certificazione, ma non veniamo riconosciuti come soggetto che da solo può certificare l’SQNBA”, riassume Lasagna.
“Questo tipo di attestazione”, aggiunge lo zootecnico, “riguarda poco l’aspetto medico e molto quello manageriale dell’allevamento. Per fare un altro paragone: noi non possiamo prescrivere farmaci, quella è una competenza dei veterinari, ma quando certifichiamo gli allevamenti biologici dobbiamo monitorarne l’uso. Ecco, mi chiedo secondo quale logica per quella certificazione sì, mentre per l’SQNBA no”. Eppure il profilo dei laureati in Scienze delle produzioni animali, un indirizzo che esiste in Italia da cinquant’anni, ha un bagaglio di competenze che vanno dal controllo della produzione di alimenti all’habitat dove vengono allevati animali e pesci, dalla commercializzazione all’assistenza tecnica, insomma la verifica dell’intera filiera. “Il benessere animale è un fatto importantissimo. Quella di voler migliorare i nostri allevamenti è una decisione lungimirante, legare questa certificazione al rilascio dei contributi Pac è un giusto incentivo per la sostenibilità ed è fondamentale far comprendere anche all’opinione pubblica quanto un ambiente debba essere conforme al ciclo naturale”, afferma Lasagna.
L’8 marzo 2025 l’associazione degli zootecnici ha fatto ricorso straordinario al presidente della Repubblica contro i ministeri di Agricoltura e Salute. L’atto è stato notificato alla Federazione degli Ordini dei veterinari, che si è opposta su tutta la linea. “La nostra è un’attività medica e non può essere erogata da un tecnico, oggettivamente privo della formazione necessaria e del diritto costituzionale all’esercizio di una professione sanitaria protetta”, dice al fattoquotidiano.it il presidente della Federazione, Gaetano Penocchio. “Se pensiamo a quanto afferma il decreto interministeriale rispetto a sanità animale, biosicurezza, benessere animale e del farmaco veterinario è chiaro che un percorso tecnico non possa sostituire uno medico. Per la biosicurezza ad esempio il medico veterinario ha conoscenze di epidemiologia, diagnosi, profilassi, terapia e controllo delle malattie infettive e parassitarie degli animali”, sottolinea. Ma conferma, indirettamente, l’esiguo numero di veterinari abilitati: “Non sia la presunta carenza di medici veterinari percepita prima dell’avvio del sistema a promuovere rimedi che ne minano in partenza la credibilità. È il mercato che determina la presenza o assenza dei profili professionali”.
Rimane il punto: ad oggi l’offerta non copre la domanda. E se per questo primo anno di introduzione della SQNBA di fatto “le certificazioni sono state abbastanza soft”, dal prossimo anno la questione potrebbe complicarsi. Eppure l’importanza degli obiettivi che si propone la filiera è sotto gli occhi di tutti. “Dopo anni in cui abbiamo avuto 21 programmi regionali diversi, in mancanza di una regolamentazione nazionale, in cui nessuno dava una garanzia credibile e ognuno seguiva proprie regole, abbiamo un sistema uguale per tutti”, afferma Penocchio. Gli zootecnici, però, vorrebbero fare la loro parte: “Non ci sono abbastanza persone quindi non capiamo questa scelta dei ministeri e cosa ci sia da tutelare”, dichiara Lasagna. “Noi non vogliamo sostituirci a nessuno, ma lavorare in sinergia come già facciamo con i veterinari negli altri ambiti”. La politica è stata poco lungimirante? “Forse è stato fatto un lavoro di lobby e noi non eravamo inclusi, in questa certificazione i soldi girano. Inserire anche gli zootecnici avrebbe soltanto aiutato il sistema che oggi è in forte sofferenza”, conclude il presidente dell’associazione dei laureati in Produzioni animali. Il rischio è che a perderci saranno allevatori e consumatori, a causa del minor controllo di quello che arriva sulle nostre tavole.
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