Alfa Romeo, parla Alejandro Mesonero-Romanos: “La bellezza non basta, serve carattere”
- Postato il 7 novembre 2025
- Fatti A Motore
- Di Il Fatto Quotidiano
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Alejandro Mesonero-Romanos guida il Centro Stile Alfa Romeo con la responsabilità di custodire e reinterpretare un marchio che ha fatto la storia. Lo fa con la sensibilità di chi conosce a fondo il design italiano e con l’entusiasmo di un creativo abituato a confrontarsi con culture e brand diversi. In questa intervista racconta il suo percorso, il legame con i maestri carrozzieri, il passaggio della transizione elettrica e le sfide che attendono il Biscione, dalla Junior a una futura Spider.
Cosa ha provato quando ha accettato la guida del design Alfa Romeo?
“Fin da bambino sognavo di lavorare con le auto italiane. Passavo ore a copiare le linee delle Alfa Romeo, delle Lancia, delle Ferrari. Nel 1994 feci un viaggio a Torino per bussare alle porte dei carrozzieri: Pininfarina, Ghia, Italdesign, Bertone. Ricordo che mi dissi: “Un giorno vorrei essere qui”. Quando sono arrivato, ho sentito di aver fatto la cosa giusta, anche se avevo una vita più comoda altrove. È stato un atto dovuto verso me stesso”
Quali sono oggi, secondo lei, i tratti imprescindibili per definire una vera Alfa?
“Non esiste un’unica Alfa Romeo. Il marchio ha vissuto epoche diverse, attraversando visioni stilistiche molto differenti. Penso alle Alfa di Bertone e Zagato, provocatorie e forti nel carattere; a quelle di Pininfarina, eleganti e raffinate; alle Alfa di Giugiaro, funzionali e razionali. Questo dialogo con i carrozzieri ha generato una grande ricchezza. Ho contato più di 40 scudetti diversi nella storia del marchio. Tuttavia, due elementi sono sempre presenti: la sportività e una bellezza reinterpretata. Alfa Romeo è, da sempre, interpretazione”
Con la 33 Stradale ha reso omaggio a un capolavoro. È stato più una sfida da designer o da custode del marchio?
“Entrambe. Ma se ci si riflette troppo, non si parte mai. Il progetto è nato da una conversazione tra me, Jean-Philippe Imparato, al tempo ad Alfa Romeo e Cristiano Fiorio. Non c’erano clienti né certezze. Abbiamo deciso di provarci. In un certo senso abbiamo tracciato la strada camminando. Per me, come designer, è stato magico. Fin dal mio arrivo in Alfa Romeo desideravo realizzare una vettura così. È accaduto molto prima di quanto immaginassi. Un’emozione personale fortissima”
Alfa Romeo è un marchio profondamente italiano, ma oggi guarda ai mercati globali. Come si mantiene l’equilibrio tra radici e visione internazionale?
“È una domanda che ci poniamo spesso. Da un lato, bisogna ascoltare il mercato per sopravvivere; dall’altro, bisogna restare fedeli all’identità. Junior e 33 Stradale sono nate insieme, dallo stesso team. Clienti diversi, architetture diverse, ma lo spirito è lo stesso. La sportività è sempre presente. Cambiano i vincoli tecnici e produttivi, ma l’anima resta. Oggi bisogna saper unire ciò che viene dalla pancia con ciò che il mercato richiede”
Come cambia l’approccio al design con la transizione elettrica?
“Quando inizio a disegnare una vettura, non penso subito se sarà elettrica o termica. La prima cosa è il marchio, il messaggio. L’architettura cambia: le auto elettriche hanno generalmente un passo più lungo, sono più alte, i passeggeri sono seduti sopra le batterie. Questo influisce sul design. Ma ciò che oggi incide di più è l’aerodinamica: sull’elettrico diventa cruciale per l’autonomia. Un tempo si accettava di spendere qualche euro in più in carburante. Oggi quei quattro chilometri in più o in meno possono fare la differenza tra arrivare a casa o restare fermi”
La Junior ha avuto un debutto carico di significati. Com’è nata e cosa rappresenta per Alfa Romeo?
“ È nata praticamente insieme alla 33 Stradale, al mio arrivo in azienda. L’obiettivo era chiaro: creare una vettura compatta ma con un pensiero Alfa. Un primo gradino, accessibile, per chi non aveva mai considerato il marchio. Doveva farsi notare. Non potevamo permetterci una vettura banale o troppo discreta. Volevamo che fosse sportiva, muscolosa, con un design carico. E oggi ci accorgiamo che ha funzionato: ho amici non appassionati d’auto che l’hanno comprata perché “diversa” dalle altre. È una vettura che Alfa Romeo doveva avere”
Ha diretto il design in Seat, ha creato il linguaggio di Cupra, ha lavorato in Renault e Dacia. Cosa ha portato con sé da quelle esperienze?
“ Sono 31 anni di carriera. Dal gruppo Volkswagen ho appreso il rigore, la qualità visiva e progettuale. Dai francesi, la creatività, spesso anche eccessiva, ma sempre audace. Mischiando queste due anime ho potuto creare auto molto diverse tra loro. Cupra molto sportive, Dacia Bigster con uno stile unico, e oggi Alfa Romeo. Lavorare in marchi e culture differenti è fondamentale. Ti apre la mente e ti permette di portare con te una ricchezza che si riflette nel modo di gestire il lavoro, le squadre, i progetti. I grandi creativi spesso lasciano una “firma” nascosta nelle loro opere”
E c’è la “firma nascosta” di Alejandro Mesonero-Romanos nella Junior o nella 33 Stradale?
Non so se ci sia qualcosa di intenzionale. Forse lo vedete voi meglio di me. Mia figlia, vedendo per la prima volta la Junior, mi ha detto: “È una macchina che scopri col tempo, non ti travolge subito”. E forse è vero. Cerco sempre proporzioni equilibrate, superfici trattate con cura, linee semplici ma d’impatto. Il mio obiettivo è che una vettura resti attuale nel tempo. Quando rivedo la Ibiza del 2015, mi sembra ancora attuale. Questo, forse, è il mio modo di lasciare un segno”
Se dovesse descrivere l’Alfa Romeo del futuro con tre parole, non tecniche ma emotive, quali sceglierebbe?
“Carattere. Sportività. Modernità. Credo che il carattere sia addirittura più importante della bellezza. È ciò che rimane nel tempo, anche quando l’emozione iniziale svanisce”
Qual è l’Alfa del passato che più l’ha emozionata, e quale vorrebbe disegnare un giorno?
“Ce ne sono molte. Adoro la TZ Zagato degli anni Sessanta. Compatta, leggera, funzionale. Una bellezza assoluta. Se dovessi “rubare” un’auto dal Museo di Arese, probabilmente sarebbe quella. Oppure la mia Giulia GT Junior del 1968, ocra. Amo anche le Alfa “brutte”, come la 90 o la 75, perché hanno un carattere fortissimo. Il marchio è più grande dei suoi modelli. Quanto al futuro, mi piacerebbe disegnare una nuova Spider, una nuova Duetto. Oppure una Montreal. Nulla è ufficiale, ma l’idea mi emoziona. E poi c’è un altro progetto: il prossimo one-off, successore della 33 Stradale. Lo stiamo iniziando proprio ora. Sarà ancora più emozionante”.
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