Alchimia, gotico e cinema. C’è tutto questo nelle opere di Fabrizio Cotognini a Milano

Transitum di Fabrizio Cotognini è il primo progetto dell’artista negli spazi della galleria Building di Milano. L’esposizione, a cura di Marina Dacci, è concepita come un excursus nella sua ricerca artistica in diversi capitoli, che si intrecciano nello spazio espositivo grazie ad una serie di connessioni ad iconografie del passato, all’epica, alla mitologia e all’alchimia, su cui l’artista conduce un’instancabile e metodico lavoro di ricerca, riuscendo a creare opere che risuonano di elementi fortemente introspettivi anche per il visitatore contemporaneo.

La trasformazione nella mostra di Fabrizio Cotognini da Building a Milano

In questo percorso trovano spazio oltre 90 opere, realizzate appositamente per le mostra: microfusioni, sculture, installazioni e disegni (alcuni dei quali realizzati su incisioni del XVIII Secolo, di cui Cotognini è un appassionato collezionista). Come osserva la curatrice: “Il titolo della mostra diviene metafora della postura dello stesso artista, orientato ad una ricerca continua. Transitum, transizione e trasformazione, rispetto all’identità, alla pratica artistica e al concetto di spazio-tempo”. La trasformazione è alla base di questo progetto.

La mostra di Fabrizio Cotognini a Milano da Building

Alveari e uccellini

All’interno di questa ricca cornice concettuale, il piano terra propone una conversazione tra natura e cultura, iniziando da un auspicio, un dialogo tra la microfusione Alveare (2025) e La Casa dell’Arte (2025), un plastico in 3D che riproduce gli spazi della galleria. Uno stormo di uccellini, Hybridatio Mundi (2024-2025), in microfusioni di bronzo, sono disseminati sui balconi e sui terrazzi, talmente delicati da sembrare reali, simbolo di unione tra cielo e terra, divino e umano. “Ho un grandissimo legame con la natura”, spiega l’artista, “vengo dalle Marche e sono molto legato anche allo studio dell’alchimia, che ha come base gli elementi naturali, che vengono fatti decantare attraverso la conoscenza e la mistica. È il tentativo di ibridare un alveare, fatto con la fusione etrusca, dove non c’è cera, ma viene fuso direttamente l’alveare abbandonato”. Rileva in queste opere la grande capacità tecnica dell’artista e la sua formazione da orafo, che gli hanno consentito di riprodurre precisamente la natura, anche quando è delicata come un alveare, ed in qualche modo fermare il tempo, come in un processo alchemico, bloccare l’attimo e rendendolo eterno, grazie al bronzo.

Installation view, Transitum, Fabrizio Cotognini, BUILDING GALLERY, Milano, photo Leonardo Morfini, Courtesy BUILDING, Milano
Installation view, Transitum, Fabrizio Cotognini, BUILDING GALLERY, Milano, photo Leonardo Morfini, Courtesy BUILDING, Milano

Distopie, trasformazione e introspezione

Il percorso prosegue con Distopie (2024), opere su incisioni ad acquaforte del XVIII Secolo, che accostano alcune architetture classiche, paradigmi di bellezza e armonia, alla loro brandizzazione contemporanea, figlia della società dei consumi.“Un immaginario distopico che oggi è divenuto spesso realtà”, spiega l’artista, “realizzato con citazioni di libri, film e musica, alcuni archetipi che hanno contribuito alla mia formazione e a quella della mia generazione”. “Una realtà che prefigura una colonizzazione tecnologica e commerciale e l’imperantebombardamento di immagini, spesso violente e distruttive, a cui siamo sottoposti”, commenta Marina Dacci.
La trasformazione è alla base del ciclo di ritratti Who is Christian Rosenkreutz (2024), come evoluzione personale, crescita e passaggio sia lavorativo che personale, uno specchio delle possibilità di una persona. Il concetto di evoluzione del pensiero trova una sua espressione in Alchimia Mundi (2025), la ricostruzione di unsalterio inglese del 1400. È un libro d’artista di oltre cinque metri, che si srotola come una cascata; una rappresentazione della nascita del mondo, con Dio che fonde delle gocce di sangue, attraverso il quale viene generato l’uomo e la vita tutta. Dal basso esce il male e Cotognini vi rappresenta un teschio e degli uccelli, archetipo del suo pensiero, della sua visione, all’interno del salterio mistico. Il concetto si sviluppa anche nelle opere Studi sull’Alchimia (2024) e Androgino e il Doppio (2024). Da lontano sembra di avere davanti un nostro riflesso, ma avvicinandoci allo specchio – metafora dell’introspezione – appare, come spiega l’artista: “il matrimonio mistico, il sole e la luna, l’uomo e la donna. L’aspirazione massima, la completezza, per arrivare alla pietra filosofale”.

Un omaggio al Parsifal

Al primo piano della galleria uno studio sul teatro, vede protagoniste alcune opere della messa in scena del Parsifal a New York nel 1904. Di fronte ad esse sono presenti incisioni di strutture teatrali, su cui l’artista è intervenuto, iscrivendo oggetti che connotano i passaggi cruciali del dramma. La manica lunga ospita la serie I 12 Cavalieri della Tavola Rotonda (omaggio a Salvator Rosa) (2024), i cui protagonisti si ispirano ai Cavalieri del Sacro Graal, creando un collegamento con l’opera wagneriana.

Memoria e immaginazione nella mostra di Fabrizio Cotognini

Il percorso espositivo termina al secondo piano della galleria. Qui il concetto di trasformazione è proposto come connessione tra memoria e immaginazione. Protagoniste sono due macchine ottiche, dedicate ad Athanasius Kircher: un’anamorfosi che presenta due immagini di Kircher in giovinezza ed età avanzata, che si rincorrono e si ricompongono ed una fusione in bronzo della testa del filosofo da giovane, da cui parte la proiezione della Costellazione del Cigno – omaggio al rapporto tra macrocosmo e microcosmo.

La sezione espositiva alla Galleria Moshe Tabibnia di Milano

Il progetto espositivo si estende inoltre alla Galleria Moshe Tabibnia, dove viene proposto un dialogo fra i preziosi tessili, capolavori, della Collezione Moshe Tabibnia, che ricreano il contesto paesaggistico, e la figura del cigno. Si tratta de L’Iperboreo, (2025), una fusione in bronzo a grandezza naturale, con una patina color lapislazzuli (che si dice fosse il colore della pietra filosofale), la cui figura è strettamente collegata alla mitologia nordica, al teatro, anche wagneriano – basti pensare a Parcifal e Lohengrin – e alla mitologia greca del culto di Apollo, emblema di purezza e rigenerazione.

Giulia Bianco

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Autore
Artribune

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