Ospedali, quelli piccoli sono i più rischiosi

  • Postato il 19 aprile 2025
  • Di Panorama
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Le dimensioni contano. Soprattutto nella sanità. E anche se sarebbe sicuramente più comodo ignorare questa verità e cullarci nell’idea che avere un ospedale, un Pronto soccorso, un punto nascita a pochi metri da casa garantisca velocità e appropriatezza delle cure, la realtà ci racconta qualcosa di molto diverso.
In un Paese che si trova a fronteggiare una cronica mancanza di posti letto e una gravissima carenza di medici, i piccoli ospedali, spesso, sono solo una falsa sicurezza.

Peggio: una trappola che rischia di farci perdere tempo prezioso quando la salvezza è questione di minuti, o di farci incappare in medici e reparti che, nonostante l’impegno, possono rivelarsi inadeguati. Non si tratta di allarmismo, ma di fatti. «Arrivare in un piccolo Pronto soccorso, con poche migliaia di accessi all’anno, vuol dire per il paziente correre un rischio dieci volte più alto rispetto a un presidio grande e strutturato» afferma Andrea Bellone, già primario del reparto di emergenza e urgenza dell’ospedale Niguarda di Milano e presidente di Area critica. «Soprattutto in caso di patologie tempo-dipendenti, come infarto o ictus, dove occorre la maggior velocità possibile per salvare la vita e l’autonomia dei pazienti, il passaggio da un piccolo ospedale – magari anche solo per un’iniziale sottovalutazione dei sintomi – significa giocarsi una serie di possibilità di cura e abbassare le chance di sopravvivenza». Eppure, nel 2015, il Dm 70 (il Decreto ministeriale Balduzzi) aveva piantato paletti piuttosto stringenti, prevedendo la chiusura di quegli ospedali non idonei – per mancanza dei requisiti strutturali o per un’attività clinica con bassi volumi – a una gestione della sanità all’altezza della complessità delle sfide attuali.

In base a quel decreto, andrebbero chiusi tutti i Pronto soccorso (e i relativi presidi ospedalieri) con meno di diecimila accessi annui: peccato che nella realtà ciò non sia praticamente mai avvenuto, anche per le proteste della politica e dei cittadini, visto che sugli ospedali e sulla sanità ci si gioca una buona fetta del consenso politico e del clientelismo.

«Gli ultimi dati in nostro possesso, riferiti al 2022, ci dicono che oggi in Italia sono attivi ben 102 Pronto soccorso che fanno troppo pochi accessi: circa novemila all’anno, meno di un paziente all’ora» spiega l’endocrinologo Guido Quici, presidente di Cimo (Coordinamento italiano medici ospedalieri). «Ma l’emergenza, per funzionare, ha bisogno di staff adeguati, macchinari all’avanguardia, nuovi farmaci e la collaborazione dei reparti ospedalieri e degli specialisti. Tutto questo, negli ospedali piccoli, non si riesce a fare».

Ovviamente le differenze regionali sono enormi: se per esempio in Friuli-Venezia Giulia non c’è alcun Pronto soccorso con meno di diecimila accessi annui e in Liguria e Marche sono solo tre, in Sicilia sono 14 (quasi il 15 per cento del totale italiano), e molti tra essi, escludendo quelli delle isole minori e delle zone disagiate, essendo vicinissimi a grandi ospedali strutturati non avrebbero motivo di esistere, se non per motivi meramente clientelari.

Proprio in Sicilia, trovare i dati è impresa ardua: si pensi solo che un’ampia relazione stilata da una commissione tecnica composta proprio da primari di Ps – su iniziativa diretta della Regione Siciliana – e incaricata di verificare il funzionamento di tutti i 66 presidi dell’isola, è finita misteriosamente «secretata», dopo che i risultati erano stati resi noti all’Assessorato alla Salute. Mentre in Campania, a inizio aprile, una manifestazione molto accesa in difesa del Pronto soccorso di Sant’Agata de’ Goti ha visto il governatore Vincenzo De Luca chiudere (giustamente) a ogni possibilità di rafforzare un Ps che nei fatti è inutile, rispondendo a chi protestava con un colorito: «Siete una lagna continua!».

Altri problemi gravano sui piccoli ospedali: i giovani medici non vogliono andare in presidi con poca casistica e scarse possibilità di carriera, e anche i professionisti che vi lavorano da anni tendono a fuggire verso strutture più grandi. «Oggi, un medico di un ospedale marginale» continua Quici «sa che dovrà fare parecchie notti al mese, dovrà lavorare nelle festività e coprire molti turni dei suoi pochi colleghi. Basta qualcuno che si metta in malattia per far saltare tutti gli equilibri. Per forza questi ospedali si svuotano».

Inoltre, per tenere aperti a tutti i costi i piccoli presidi, le aziende sanitarie impongono spesso ai propri specialisti che lavorano negli ospedali più grandi di spostarsi in quelli minori, anche solo per un giorno alla settimana, per garantire il funzionamento di un reparto o di una sala operatoria, abbassando la qualità delle cure complessive sul territorio.
«Se, per esempio, un anestesista di un importante ospedale deve, ogni martedì, andare a esercitare in un presidio di periferia con un ridicolo numero di pazienti, non risolve i problemi del piccolo ospedale, depaupera il nosocomio più grande e contribuisce al problema delle liste d’attesa infinite» conclude Quici.

E anche in quello che è forse l’ambito più delicato ed «emozionale» all’interno della nostra sanità, cioè il percorso della gravidanza e del parto, la situazione non è rosea. Secondo i dati della Fiaso (Federazione italiana delle aziende sanitarie e ospedaliere), su 400 punti nascita presenti in Italia, un quarto – cioè 100 – non rispetta l’obiettivo del numero di parti minimi (mille in un anno) previsti per legge. «Questi punti nascita continuano a operare in deroga, spesso per motivi geografici» afferma Giovanni Migliore, presidente della Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere. «È bene che la popolazione, però, sia cosciente del fatto che i numeri sono molto importanti. Più i volumi di attività sono bassi, più elevata è la percentuale di eventi avversi che possono verificarsi durante il parto. Ovvio che le future mamme preferirebbero partorire nelle proprie città, vicine agli affetti e con tutte le comodità. Ma occorre sempre mettere la sicurezza al primo posto». Per loro stesse e per chi verrà al mondo.

Perché con la vita e la salute è bene non scherzare: cerchiamo sempre, in ogni evenienza, non l’ospedale più vicino, non quello più comodo. Ma solo e sempre il più adatto, il più sicuro.

Autore
Panorama

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