Nucleare Iran, nasce il fronte Pechino-Mosca-Teheran: “Basta sanzioni, ora dialogo”. La Cina si ritaglia un ruolo di mediazione con gli Usa

  • Postato il 14 marzo 2025
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Un cambio di paradigma, in un periodo già denso di riposizionamenti sullo scenario geopolitico, sta avvenendo sul delicato dossier del programma nucleare iraniano. Nelle scorse ore Cina, Russia e Iran hanno tenuto “discussioni approfondite” sul tema, al termine delle quali hanno sottolineato “l’importanza di porre fine a tutte le sanzioni unilaterali illegali“. In primis quelle imposte a Teheran dagli Stati Uniti.

Mosca e Pechino, già parte del cosiddetto formato “5+1” che nel 2015 fa raggiunse il Joint Comprehensive Plan of Action con la Repubblica islamica, ora hanno avviato un dialogo con la parte iraniana senza i partner occidentali. In questo contesto la Cina si è schierata con chiarezza al fianco dell’Iran, sostenendone la politica di cooperazione con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, sottolineando la necessità di rispettare il diritto di Teheran “a usi pacifici dell’energia nucleare”, sposandone la narrazione circa la “natura pacifica” del suo programma e chiedendo la fine delle sanzioni in contrasto con la posizione degli Stati Uniti, che temono che l’arricchimento dell’uranio in corso negli impianti iraniani sia finalizzato alla produzione dell’arma nucleare. “Le sanzioni unilaterali non faranno che esacerbare i conflitti, il dialogo e la negoziazione sono le uniche scelte”, ha specificato il ministro degli Esteri cinese Wang Yi (nella foto) durante l’incontro con i vice ministri russo e iraniano, Ryabkov Sergey Alexeevich e Kazem Gharibabadi.

Le tre capitali relazioni di lunga data. Tutte e tre fanno parte dei Brics, domenica hanno avviato la “Security Belt 2025“, la quinta manovra militare congiunta dal 2019 nelle acque iraniane, e sono partner nella Shanghai Cooperation Organization. Ora hanno deciso di parlare con una voce sola anche su questo dossier, ribadendo nel comunicato congiunto diramato al termine del vertice “l’importanza della risoluzione 2231 del Consiglio di sicurezza dell’Onu” (l’accordo raggiunto nel 2015 e ricusato nel 2018 da Donald Trump) ed esortando “le parti interessate ad affrontare le cause profonde, ad abbandonare le sanzioni, le tattiche di pressione e le minacce di forza“. Il riferimento è all’approccio del capo della Casa Bianca, che la scorsa settimana ha invitato Teheran a riprenderei colloqui sul nucleare “perché se dovessimo intervenire militarmente sarebbe una cosa terribile”.

“Da questo incontro – spiega Nima Baheli, analista geopolitico e di intelligence, già funzionario superiore alla Presidenza del Consiglio -emerge la volontà di Pechino di mediare dal punto di vista dei rapporti storici che intrattiene con Teheran e Mosca, in primis nell’ottica della difesa degli approvvigionamenti energetici che arrivano in Cina dal Medio Oriente e dei legami di lunga data che ha con i paesi arabi”. Il vertice “fa parte della strategia con cui Pechino punta a ritagliarsi un ruolo di mediazione sul piano internazionale: lo scorso anno, ad esempio, ha mediato nel riavvicinamento tra lo stesso Iran e l’Arabia Saudita, contribuendo a una normalizzazione dei rapporti che sta reggendo”.

Sul tema del nucleare l’orizzonte di intervento non è molto ampio. Sui tempi incombe lo spettro dello “snapback“, il meccanismo previsto dal Jcpoa che consente il ripristino delle sanzioni Onu e che potrebbe essere attivato entro la scadenza del trattato, a ottobre. “Adotteremo tutte le misure diplomatiche per impedire all’Iran di ottenere l’atomica, anche il ricorso allo snapback, se necessario”, ha detto mercoledì il vice ambasciatore britannico all’Onu, James Kariuki. Con Londra che è parte di quel fronte occidentale messo in evidenza dall’incontro a porte chiuse dedicato alle ambizioni nucleari di Teheran e tenuto in settimana da sei dei 15 membri del Consiglio di sicurezza (Usa, Francia, Grecia, Panama, Corea del Sud e Gran Bretagna).

E’ in questo contesto che la Cina intende ricavare il proprio ruolo di mediazione. “Nel Tempio del Cielo, dove le massime autorità cinesi ricevono i dignitari stranieri campeggia la foto di Ali Khamenei tra quelle di Richard Nixon e Henry Kissinger – prosegue Baheli -. Pechino ha un approccio molto pragmatico alle questioni geopolitiche. In questo caso intende mediare un accordo nucleare affinché le minacce di Trump non si avverino e perché non ha interesse acché scoppi una nuovo conflitto in Medio Oriente, in primis tra l’Iran e Israele. In luogo secondo luogo non intende creare un punto di instabilità sul tema nucleare in un momento in cui i tavoli negoziali con Washington sono molti, in primis quello sui dazi commerciali“. Terza ragione: “Vuole inviare agli Stati Uniti un messaggio chiaro – conclude l’analista -: l’alleanza di Teheran con Pechino e Mosca rimane salda anche nel momento in cui quest’ultima pare intenzionata a normalizzare i rapporti con Washington”.

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Il Fatto Quotidiano

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