Nucleare Iran, l’Agenzia atomica: “Teheran vicina ad avere l’atomica”. Sabato colloqui a Roma
- Postato il 16 aprile 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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La ripresa dei colloqui tra Iran e Stati Uniti assume un valore ancora maggiore dopo le parole del direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), Rafael Mariano Grossi, che in un’intervista a Le Monde dopo la sua missione nella Repubblica Islamica ha dichiarato che Teheran non è lontana dall’avere la sua bomba atomica. Così il secondo incontro, a Roma, tra l’inviato americano, Steve Witkoff, e il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, mediato dall’omologo Badr Albusaidi, diventa fondamentale per cercare di indirizzare i rapporti tra Washington e Teheran verso una de-escalation.
Nella sua intervista al quotidiano francese, Grossi ha fotografato la situazione dello sviluppo nucleare nella repubblica degli ayatollah in base alle verifiche che l’Aiea ha potuto svolgere nel corso dei suoi ultimi controlli: “Se l’Iran possiede materiale sufficiente per fabbricare non una ma diverse bombe, non dispone però ancora dell’arma nucleare – ha detto – È come un puzzle, hanno i pezzi e potrebbero eventualmente un giorno metterli insieme. Resta ancora strada da fare per arrivarci. Ma non sono lontani”. Per questo, ha aggiunto, è necessario che l’Aiea venga tenuta in considerazione nei colloqui in corso e che prevedono, sabato, anche incontri bilaterali tra il ministro degli esteri, Antonio Tajani, e tutte le parti al tavolo. Grossi ha precisato che “noi non facciamo parte di questo dialogo bilaterale tra Araghchi e Witkoff, ma non siamo indifferenti. Sanno bene che dovremo dare la nostra opinione su un eventuale accordo perché spetteranno a noi le verifiche. Abbiamo già avviato scambi informali. Quando ci sarà un testo con disposizioni concrete, saremo chiamati a pronunciarci su modalità ed entità dei colloqui da effettuare”. E, ha sottolineato, affinché un accordo abbia “senso serve un sistema robusto di verifiche e monitoraggio che siamo i soli a fornire”.
Grossi fa anche un parallelo col passato, avendo vissuto da vicedirettore la stagione delle trattative che portarono al Nuclear Deal firmato da Barack Obama. Il direttore sostiene che “questa volta gli Usa vogliono arrivare a un testo più semplice, alleggerito da tutte le clausole, molto tecniche, dell’accordo del 2015 che non hanno resistito alla prova della realtà. Si tratterebbe di vietare, in modo più diretto, alcune attività come l’arricchimento. In cambio l’Iran otterrebbe la revoca delle sanzioni o misure di sostegno agli investimenti”.
Dai vertici della diplomazia iraniana, comunque, arrivano parole di avvertimento per gli Stati Uniti. Già nei giorni scorsi Teheran si era detta ottimista per il proprio approccio ma non per quello americano alle trattative. Mercoledì il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, Esmail Baqaei, ha postato su Twitter: “Nel calcio spostare la linea di porta è un fallo tattico e un atto scorretto. In diplomazia qualsiasi cambiamento di questo genere, sostenuto da falchi che non riescono ad afferrare la logica, l’arte della trattativa di buon senso, rischia semplicemente di far sì che qualsiasi apertura vada a rotoli. Potrebbe essere percepito come mancanza di serietà, per non parlare di buona fede. Siamo ancora in modalità test”.
Nel team Trump, stando invece alle rivelazioni di Axios, sembrano invece esserci divisioni sulla linea da seguire in questi colloqui: “La politica sull’Iran non è molto chiara, soprattutto perché è ancora in fase di definizione. È complicata perché si tratta di una questione molto ‘pesante’ dal punto di vista politico – ha dichiarato un funzionario statunitense a conoscenza delle discussioni interne – Ci sono approcci diversi, ma le persone non si urlano addosso”. Il vicepresidente JD Vance, ad esempio, ritiene preferibile e possibile una soluzione diplomatica, con gli Stati Uniti che dovrebbero essere pronti a un compromesso, così come l’inviato Steve Witkoff e il segretario alla Difesa Pete Hegseth. Tutti sono preoccupati dalla possibilità di colpire i siti nucleari iraniani che esporrebbe i militari americani nella regione a una rappresaglia.
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