Lunga vita a G-Dragon, il re del K-pop
- Postato il 21 settembre 2025
- Di Panorama
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Parigi ha sempre avuto il dono di trasformare i concerti in leggende, ma questa volta il copione era già scritto: l’unica tappa europea di G-Dragon non poteva che diventare il punto di convergenza di fan arrivati da ogni angolo del continente. Alla Défense Arena, un tempio del contemporaneo incastonato tra grattacieli e linee di metropolitana, le luci hanno iniziato a tremare molto prima che la musica iniziasse. Code infinite, cartelli colorati, cori improvvisati fuori dall’ingresso: era chiaro che non si trattava di un live, ma di un pellegrinaggio.
Chi lo segue lo sa bene: G-Dragon non concede niente al caso. Eppure la sensazione, entrando, era di un caos calcolato, come se il re del K-pop volesse ricordare a tutti che l’attesa fa parte dello spettacolo.
Il ritorno, senza la paglietta
Lo abbiamo visto in mille forme, mille epoche, mille incarnazioni. A Parigi si è presentato con un nuovo taglio di capelli, un completo tagliato addosso come fosse couture e – dettaglio non da poco – senza la paglietta in testa. Non è più stagione, e ovviamente il re della moda lo sa. La forma resta la stessa, ma l’accessorio cambia: più adatto al tempo e al contesto. Quando le prime note di “Power” hanno acceso l’arena, il pubblico non ha avuto neanche il tempo di respirare: si è passato direttamente all’urlo, quello che vibra nello stomaco.
Lo show era partito, e nessuno si sarebbe più seduto.
Una scaletta che è una biografia
La scaletta del tour Übermensch non è solo un elenco di brani: è un’autobiografia musicale, uno specchio in cui G-Dragon mostra tutte le sue contraddizioni. Da “Home Sweet Home” a “Super Star/Michi Go”, da “One of a Kind” a “The Leaders”, fino al trittico devastante di “Crayon”, “Crooked” e “Heartbreaker”. Ogni pezzo era accolto come un manifesto, un frammento di storia che il pubblico europeo non aveva più vissuto dal vivo da anni.
E proprio nel cuore della setlist, un attimo che resterà inciso nella memoria dei presenti: l’arena ha iniziato a intonare il classico “Po po popopopo po”, ma lui lo ha ribaltato con un sorriso e un colpo di voce, trasformandolo in un iconico, inimitabile coro di “oh” urlati a pieni polmoni a ricordare “Bang Bang”. È bastato quello: il re ha chiamato, e i VIP hanno risposto all’unisono.
Il cuore emotivo è arrivato con “That XX/Butterfly”, seguita da “Who You?” e “Today”: il lato vulnerabile che bilancia la potenza delle produzioni più esplosive. Parigi ha cantato ogni parola, ogni sillaba, trasformando l’arena in un gigantesco karaoke emozionale.
E poi c’è stato il nuovo dance break di “Too Bad”, più aggressivo e spigoloso, che improvvisamente si è fuso con “Lady Marmalade”. Un tributo sfacciato al Moulin Rouge, omaggio alla città che lo ospitava: luci rosse, corpi che esplodevano in coreografie sensuali e lui, che scandiva un “Voulez-vous coucher avec moi (ce soir)” masticato, volutamente imperfetto. Un gesto che diceva tutto: G-Dragon parla tutte le lingue del mondo, ma non smette mai di restare fedele al proprio cuore coreano.
Elvis a Parigi: “Can’t Help Falling in Love”
E come se non bastasse, l’imprevedibile. Nessuno l’avrebbe immaginato, eppure è successo: G-Dragon si siede, cambia registro e intona “Can’t Help Falling in Love”. Elvis Presley che incontra la voce più iconica del K-pop, filtrata da una sensibilità unica. L’arena si è sciolta in un coro commosso, un attimo sospeso che ha trasformato un concerto in una dichiarazione d’amore collettiva.
Prima e dopo, venti minuti di parole, gesti, improvvisazioni: il suo celebre “yapping”, che non è mai solo chiacchiera, ma un modo di fare intimità con chi ha attraversato mezzo continente per esserci.
L’encore: quando il re si spoglia
Il finale non è stato un bis qualsiasi: è stato un nuovo inizio. G-Dragon è tornato sul palco con pantaloni scintillanti, una maglia con la scritta I GD, il cappellino Power calato sulla testa e una giacca azzurra che, a metà performance, ha sfilato via con gesto teatrale. Sotto, i tatuaggi iconici che parlano da soli: la pelle come un manifesto, il corpo come una tela che racconta la sua storia meglio di qualsiasi intervista.
Era l’immagine definitiva: il re che si mostra vulnerabile e potente allo stesso tempo, consapevole che ogni segno addosso è parte della sua leggenda.
La promessa dei BigBang
Eppure, la vera detonazione non era nelle luci o nei suoni. È arrivata a mezza bocca, tra una frase e l’altra: i BigBang torneranno l’anno prossimo, prima del Coachella. Una frase lanciata quasi con leggerezza, che a Parigi ha avuto il peso di un annuncio mondiale. L’arena è esplosa in un boato, consapevole che il futuro non è solo solista, ma di gruppo.
Il pubblico europeo ha trattenuto il respiro: la promessa di rivedere i BigBang sul palco significa molto più di un semplice concerto. Significa la rinascita di una band che ha segnato un’epoca, e che ora è pronta a scriverne un’altra.
Re del K-pop, icona globale
C’è chi dice che “re del K-pop” sia un titolo abusato. Non a Parigi. Alla Défense Arena nessuno aveva dubbi: G-Dragon resta il sovrano perché sa reinventarsi, perché non smette mai di rischiare, perché riesce a rendere anche il più grande stadio europeo intimo come un club.
Il suo linguaggio non è solo musicale, è estetico, sociale, culturale. È la prova che il K-pop non è un fenomeno passeggero, ma un movimento che ha trovato in lui la sua figura più indelebile.
“Sono nato e cresciuto in Corea, i miei riferimenti erano artisti coreani. Volevo fare musica come loro. Tutto questo, dopo tutti questi anni, è incredibile.”
L’Europa, rappresentata da uno stuolo di margherite e corone, lo ha acclamato, celebrato, consacrato di nuovo.
E alla fine resta solo una frase da dire: lunga vita a G-Dragon.