Louvre, nuovi arresti nel maxi furto: i gioielli rubati restano introvabili
- Postato il 30 ottobre 2025
- Di Panorama
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C’è un silenzio strano, quasi rispettoso, nei corridoi del Louvre. Come se le pareti, abituate da secoli a custodire segreti, stessero trattenendo il respiro. Il furto dei gioielli della Corona, avvenuto il 19 ottobre, non è più soltanto una notizia: è diventato un racconto che si allunga come un’ombra sulla città. Due uomini — un fattorino algerino di 34 anni e un ex tassista francese di 39 — sono stati arrestati grazie ai loro errori, alle tracce di Dna che hanno lasciato sparse in giro come le briciole di Pollicino. E hanno parzialmente ammesso le loro colpe. Altri cinque nuovi arresti la sera di mercoledì 29 ottobre. Ma sul bottino da 88 milioni di euro, non una parola. E nemmeno una traccia.
La procuratrice di Parigi, Laure Beccuau, ha scelto un tono severo: «Questi gioielli sono invendibili. Chi li possiede, li restituisca». Ma l’appello, almeno per il momento, suona un po’ come un monito che si perde nel vento autunnale di Parigi, tra la Senna e la Galleria d’Apollon.
Nuovi arresti, nuove piste
Mercoledì 29 ottobre, cinque nuove persone sono state arrestate nella regione parigina. Tra loro, almeno uno degli uomini che avrebbe guidato il camion montacarichi usato per introdurre la banda nel museo. Gli inquirenti parlano di un commando di quattro, forse più. Le indagini puntano ora a ricostruire la rete che si muove dietro il colpo: un’organizzazione silenziosa, specializzata nei furti d’arte, capace di agire con una teatrale precisione .
Gli arrestati rischiano fino a 15 anni di reclusione per furto in banda organizzata, e 10 per associazione a delinquere. Quanto all’ipotesi di un basista, «niente permette, in questa fase, di affermare che i malviventi abbiano beneficiato di una qualche complicità all’interno del museo». Tutto ancora avvolto in un sottile gioco enigmatico, dunque.
«I gioielli non sono ancora in nostro possesso», ha ribadito Beccuau. E intanto, nelle redazioni e nei caffè, insomma in tutta Parigi e non solo, la domanda è una soltanto: dove sono finiti i gioielli rubati?
Il bottino invisibile
Quei gioielli, un tempo simbolo di potere e splendore, sono ora il cuore di un mistero che si nutre di silenzi. Gli esperti dicono che non potranno mai essere rivenduti. Troppo celebri, troppo riconoscibili. Eppure, svaniti nella nebbia. Forse nascosti in qualche sotterraneo della banlieue.
Nel frattempo, la tiara dell’imperatrice Eugenia attende un restauro difficile, quasi un atto di restaurazione del potere imperiale. È l’unico frammento tangibile di una storia che sembra uscita da un film di Christopher Nolan, dove il tempo si dilata e la verità rimane sempre un passo più in là.
Parigi in attesa
C’è qualcosa di fiabesco, e insieme di tragico, in questo furto. Non solo per la ricchezza del bottino, ma per la sua eco simbolica: il Louvre, uno dei templi mondiali dell’arte e della memoria, violato da mani comuni, da ladri alla Arsenio Lupin (ma non gentiluomini). Ogni nuovo arresto sembra sempre avvicinare la verità, ma moltiplica le domande in un quadro sempre più complesso e surreale.
Forse il vero mistero non è dove si trovano i gioielli, ma perché esistano uomini disposti a rubare ciò che non si può vendere. Saranno ladri collezionisti? E forse, come nei grandi romanzi gialli, dietro il furto c’è il desiderio di misurarsi con l’impossibile — e di soccombere, infine, al proprio stesso sogno di grandezza.
 
                         
                     
                            