L’Italia è bloccata dalle toghe
- Postato il 16 novembre 2025
- Di Panorama
- 10 Visualizzazioni

«Sopra i flutti o sotto i flutti, la Sicilia sia unita al continente». Già nel 1876 l’allora ministro dei Lavori pubblici, Giuseppe Zanardelli, sognava con toni aulici il Ponte sullo Stretto. Non avrebbe certo immaginato l’estenuante seguito: un impedimento dopo l’altro, centoquarantanove anni più tardi se ne discute ancora con ardore.
L’ultima frenata è stata particolarmente brusca. Quando l’inizio dei lavori sembrava imminente, la Corte dei conti ha negato il visto di legittimità alla decisiva delibera governativa. Proprio mentre s’annuncia una campale battaglia referendaria sulla giustizia.
È Giorgia Meloni, dunque, a collegare simbolicamente le due sponde: il ciclopico progetto e la storica riforma. Così, la premier chiarisce: le nuove norme, che riguardano anche i giudici contabili, «rappresentano la risposta più adeguata a un’intollerabile invadenza che non fermerà l’azione del governo».
Lo scontro tra politica e magistrature
L’ammirevole tigna si scontra con la foga giudiziaria. Ogni grande opera pubblica ha le sue pene. Non c’è solo la Corte dei conti. Ma pure Tar, Consiglio di Stato e procure. Valanghe di ricorsi, inchieste e pareri. Per carità, spesso smascherano manigoldi e illeciti. Ancora più frequentemente, però, bloccano decisive infrastrutture. Non a caso, quasi sempre volute da governi di centro destra.
Barricadiera opposizione e turbo ambientalisti, uniti come un sol uomo, sobillano e cavalcano. D’altronde: cosa c’è di più provvidenziale, per la sinistra anti modernista, di tante apocalittiche inchieste?
Difatti i tre moschettieri dei no a prescindere hanno già presentato un esposto pure sul Ponte. Elly Schlein, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni sollecitano: si indaghi alla svelta anche sui fondi.
La questione economica e l’ombra della criminalità
Già, chi caccia fuori i 13,5 miliardi necessari? Lo Stato, assicura Matteo Salvini, ministro delle Infrastrutture e vessillifero del Ponte. Impossibile. Dev’esserci sotto qualcosa di losco.
Per non parlare della criminalità: mafia e ‘ndrangheta, assicurano i magistrati, si sarebbero già spartite fino all’ultimo subappaltino. «Se avessimo ascoltato i parenti di Bonelli oggi non avremmo l’autostrada del Sole, quella del Brennero, l’Alta velocità, le Olimpiadi invernali, il Mose e la Tav» ironizza il ministro e leader leghista. «E andremmo in giro in monopattino con Toninelli».
Il precedente Tav: vent’anni di ricorsi
Non è un’iperbole. «Chi se ne frega di andare da Torino a Lione!» deflagra a febbraio 2019 il prode Danilo, indimenticabile predecessore di Salvini nel governo giuseppino.
Sulla linea ferroviaria ad alta velocità fra l’Italia e la Francia, in quegli anni, il Movimento sobilla mezza Italia: dalla Val di Susa a Portopalo. La Tav diventa un simbolo di resistenza giudiziaria.
Su Tar del Piemonte e Consiglio di stato piovono decine di ricorsi: impatto ambientale, rischi geologici, espropri illegittimi. Segue una raffica di sospensive. I lavori si fermano, ripartono e si rifermano.
Doveva essere il «cantiere del secolo». Si chiuderà tra otto anni. Bene che vada. Su 160 chilometri di gallerie, ne sono stati scavati solo 45: appena il 28 per cento. Adesso l’apertura al traffico è prevista nel 2033, a vent’anni dai primi scavi.
Firenze e la talpa “Monna Lisa”
E si continua a scavare anche nel maxi tunnel per l’Alta velocità che passerà sotto Firenze. Un interminabile processo per reati ambientali non ha aiutato.
Le roboanti indagini partono nel 2010. Tre anni dopo, viene sequestrata sia la talpa «Monna Lisa», sia i blocchi sotterranei di calcestruzzo.
Lo scorso luglio arriva l’attesa sentenza: due assoluzioni, sette prescrizioni e una mini condanna. A quindici anni dall’inchiesta. Intanto, si continua a scavare.
La Tap e l’illusione ambientalista
Che sia per terra o per mare, si eccepisce in ogni caso. Vedi la Tap: il gasdotto che attraversa l’Adriatico e porta il metano a Melendugno, sulle coste pugliesi.
Durante la campagna elettorale del 2018, l’avversione alla Trans adriatic pipeline diventa un altro cavallo di battaglia del Movimento.
«Con il governo dei Cinque stelle quest’opera la blocchiamo in due settimane!» ruggisce Alessandro Di Battista, il Che Guevara di Roma Nord.
L’inenarrabile disastro ambientale incombe. In realtà, non farà alcun danno. Anzi: ci garantirà il gas nei momenti peggiori della guerra tra Russia e Ucraina.
Segue una sfilza di processi penali e amministrativi. Il più scoppiettante viene imbastito dalla procura di Lecce nel 2017.
I sostenitori della causa sono illustri e arcigni: politici, ambientalisti, cantanti, attori e scrittori. Dal governatore pugliese, Michele Emiliano, al bucolico autore di Cara terra mia, Albano Carrisi.
Le parti civili sono agguerritissime: «Ci daranno un risarcimento miliardario» assicura il presidente pugliese, già magistrato, accorso in aula per puntellare le accuse.
Gli imputati sono diciannove, tra manager e subappaltatori. Vengono accusati delle più atroci malefatte ambientali: stragi di ulivi, inquinamenti vari, paesaggi sfregiati.
Solito copione: ritardi e rincari.
Nonostante tutto, la Tap viene comunque inaugurata nel 2020. Cinque anni dopo, a maggio 2025, il tribunale di Lecce assolve tutti: «Il fatto non sussiste».
Il caso Mose: costi, inchieste, ritardi
Anche il mitologico Mose ha avuto un destino tribolato. Il sistema di paratie mobili, che ha salvato Venezia da funeste inondazioni, viene immaginato oltre mezzo secolo fa.
L’allora vicepresidente del Consiglio, Gianni De Michelis, nel 1988 promette: «La fine lavori arriverà nel 1995, salvo piccoli slittamenti».
Intanto, la Corte dei conti dichiara illegittima la concessione al consorzio. Non c’è nessuna «urgenza». E vengono violate le norme sugli appalti pubblici.
Morale: tutto bloccato, prima ancora di iniziare.
«Il principio della concorrenza è un cardine fondamentale delle opere pubbliche. Invece a Venezia si è realizzata una scarsa dialettica tra la fase della progettazione e quella dell’esecuzione, con costi elevati e ritardi nei controlli» scrivono i magistrati contabili.
Serve una legge speciale per andare avanti. La prima pietra arriva nel 2003, anno domini berlusconiano.
Qualche anno dopo, ancora i magistrati contabili denunciano: carenze di progettazione, conflitti di interessi, costi lievitati.
Nel 2010 rincarano: continuano irregolarità amministrative e gestionali. I ritardi si accumulano.
Poi, nel 2014, esplode l’inchiesta sul «Sistema Mose».
Seguono anni di indagini, manette, processi. Il dilemma giudiziario è: come sono stati spesi quei 6,4 miliardi di euro?
Intanto la Corte sospende, verifica, procrastina.
Fino all’aprile 2022, due anni dopo l’inaugurazione. A Palazzo Chigi c’è Giuseppe Conte.
Il ministero delle Infrastrutture rinuncia ai risarcimenti e abbona i debiti. Troppi ritardi. Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato.
Dighe, rigassificatori e porti: stessi copioni
Poi trivelle, rigassificatori, parchi eolici. O termovalorizzatori.
Quello di Santa Palomba, a Roma, è stato bersagliato da una gragnola di ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato.
I primi lavori sono cominciati. Gli ambientalisti, però, annunciano un nuovo esposto alla Commissione europea.
A Genova, il cantiere per la Diga foranea è partito dopo che il Consiglio di Stato ha ribaltato la sentenza del Tar. I costi, intanto, lievitano a 1,3 miliardi.
Mentre il porto di Imperia è rimasto fermo un decennio, per un’inchiesta avviata nel 2012.
Finiscono a processo l’imprenditore romano Francesco Bellavista Caltagirone e l’ex ministro forzista, Claudio Scajola.
Cinque anni più tardi, vengono tutti assolti.
Il finale aperto
E il Ponte? Che si faccia, diceva il vecchio Zanardelli, «sopra i flutti o sotto i flutti».
Invece, niente.
E pensare che se ne parla fin dai tempi dell’Impero romano.
Plinio il Vecchio racconta di un collegamento galleggiante, fatto di barche e botti. Serviva a trasportare centoquaranta elefanti.
Avrebbero costruito perfino dei parapetti, per evitare che i pachidermi finissero in mare. L’impresa, a quanto pare, riuscì.
Correva l’anno 251 avanti Cristo.