Libri. Robert Brasillach. In tragico d’infinito. Lo scavo di Pierfranco Bruni nel cuore umano dell’esilio
- Postato il 24 giugno 2025
- Antropologia Filosofica
- Di Paese Italia Press
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Quell’inquietudine sottile che ti tormenta dopo aver letto un testo, ed averne pure relazionato, l’impressione che un filo invisibile leghi le sue parole a qualcosa di più vasto, a un’altra opera che, pur su un piano diverso, risuona con le stesse corde. E quando il pensiero corre a Pierfranco Bruni e al suo “Camus. In solitudine d’esilio” per poi posarsi su figure come Malaparte e, in questo caso specifico, su Robert Brasillach, la connessione, seppur non sempre immediatamente evidente, si rivela non solo probabile, ma profondamente stimolante e ricca di significato. Non si tratta di un’influenza diretta o di un rapporto di causa-effetto, quanto piuttosto di una risonanza tematica e di un comune sguardo sulla condizione umana in momenti di crisi profonda, di passaggio epocale, e di un’esistenza marcata dall’alienazione e dal non-senso.
La Solitudine dell’Esilio in Bruni e Camus: Un Percorso a Ritroso nell’Anima del Novecento
Quando ho letto “Camus. In solitudine d’esilio” di Pierfranco Bruni, mi ha colpito la capacità dell’autore di non limitarsi a un’analisi accademica, ma di entrare in profonda empatia con Albert Camus. Bruni scava nel cuore del pensiero camusiano, non solo attraverso le sue opere più note come “Lo Straniero” o “Il Mito di Sisifo”, ma anche esplorando quelle pieghe meno celebrate, i “Taccuini” o la sua corrispondenza, dove la solitudine e il senso di estraneità si manifestano con una crudezza quasi esistenziale.
Il libro di Bruni ci presenta un Camus che abita l’esistenza tra il vissuto e il pensato, un viaggio perenne che non offre risposte definitive, ma piuttosto la consapevolezza del “dritto e del rovescio” delle vite che attraversiamo. L’esilio, in questa prospettiva, non è solo una condizione geografica o politica, ma diventa una dimensione metafisica, un sentirsi “stranieri” nel mondo, nel tempo, persino rispetto a se stessi. Bruni evidenzia un Camus eretico rispetto alle ideologie dominanti del suo tempo, un pensatore che sceglie la libertà della cultura e il confronto con l’assurdo e la catastrofe, piuttosto che l’ortodossia di un partito o di una corrente.
Questa “solitudine di esilio” è, per me, il fulcro del lavoro di Bruni: un’analisi che ci porta a toccare con mano la fragilità dell’essere umano di fronte alle macerie, fisiche e spirituali, che il Novecento ha lasciato. È un sentirsi ai margini, un osservare da una distanza non scelta, ma imposta dalla propria lucidità di pensiero o dalla propria sensibilità.

Brasillach: un esilio, seppur diverso, tra coerenza e tragedia
Ed è qui che, inaspettatamente, il pensiero corre a Robert Brasillach. La sua figura, così controversa e tragica, è lontana anni luce dalle posizioni ideologiche e filosofiche di Camus. Camus, il premio Nobel della resistenza morale, il pensatore dell’assurdo e della rivolta umana contro l’ingiustizia. Brasillach, il giovane e brillante scrittore francese, intellettuale affascinato dal fascismo e dalla collaborazione con l’occupante tedesco, condannato a morte e fucilato nel 1945 per le sue idee.
Eppure, pur nella vastità dell’abisso che li separa, qualcosa li accomuna in quel grande affresco dell’esilio che Bruni sembra evocare. Non l’esilio fisico di Camus (che pure visse l’allontanamento dall’Algeria), né quello politico di chi è costretto a fuggire. L’esilio di Brasillach è un esilio di natura diversa, un esilio morale e storico che lo ha portato a schierarsi dalla parte che riteneva giusta della Storia, a rimanere isolato nelle sue convinzioni estreme fino alla fine.
Camus stesso, in una frase che risuona come un monito, disse di Brasillach: “Se Brasillach fosse ancora tra noi, avremmo potuto giudicarlo. Invece ora è lui a giudicare noi.” Questa frase, che mi colpisce ogni volta per la sua lucidità e la sua profondità, non è un’assoluzione, ma un riconoscimento della complessità della vicenda umana e della tragicità del destino. Brasillach, pur essendo stato un convinto collaborazionista, non fu un torturatore, fu un intellettuale che scelse una via che lo condusse all’isolamento più estremo, alla condanna a morte. Il suo fu, in un certo senso, un esilio auto-imposto dalla sua intransigenza ideologica, che lo portò a essere un “estraneo” nel panorama intellettuale della Resistenza e, in ultima analisi, un esiliato dalla vita stessa per le sue idee.
Il Filo Inquietante dell’intellettuale di fronte al limite
Ecco dove il mio intuito, stimolato dalla lettura di Bruni, mi porta a trovare un punto di contatto. Entrambi gli autori, Camus e Brasillach (e, in un certo senso, anche Malaparte con la sua “Pelle” il cui titolo originario era proprio la Peste) che ci mostra un’umanità ridotta al suo limite), si confrontano con la condizione dell’intellettuale di fronte al baratro.
Camus, come ci mostra Bruni, è l’esule che accetta l’assurdo e si batte per la dignità umana, anche nella solitudine della sua rivolta. Egli sceglie di non essere un “intellettuale organico” a nessuna causa che limiti la libertà di pensiero, e questo lo pone in una sorta di esilio filosofico.

Brasillach, d’altra parte, è l’esule della sua stessa coerenza, l’intellettuale che, spinto da un’ideologia totalizzante e da una visione nichilista del mondo moderno, si ritrova in un isolamento che lo porterà alla distruzione. Il suo “esilio” non è solo politico, ma anche esistenziale, la conseguenza estrema di una scelta che lo ha separato dal sentire comune del suo tempo e del suo paese.
La “solitudine d’esilio” di cui parla Bruni, dunque, può essere letta non solo come la condizione esistenziale di Camus, ma anche come una lente attraverso cui guardare altre figure, anche quelle più scomode come Brasillach. È la condizione di chi, per scelta o per destino, si ritrova ai margini, a fronteggiare la propria coscienza di fronte a un mondo in disfacimento. Non per giustificare, ma per comprendere la complessità della storia e le molteplici forme che l’esilio – intellettuale, morale, politico – può assumere nell’animo umano. Un monito, forse, sulla pericolosità degli estremismi, ma anche sulla tragicità di chi, in nome delle proprie convinzioni, arriva a un punto di non ritorno, affrontando, in ultima analisi, la propria “solitudine di esilio” più estrema. Ed eccoci quindi ad un Brasillach le cui parole chiave all’interno risuonano forti dall’autore: la verità non abita il presente.

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