La rivoluzione del linguaggio: così l’IA rende naturali le conversazioni globali

  • Postato il 4 ottobre 2025
  • Di Panorama
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A nessuno piace sembrare un robot, tantomeno esprimersi come uno di loro. Eppure, è l’effetto straniante che si prova accendendo un traduttore automatico, uno di quegli aggeggini che riconoscono le nostre parole e le trasformano in una lingua sconosciuta o poco familiare.

Si mettono a blaterare con un tono elettronico, permettendoci di comunicare con una persona straniera o farci comprendere in un Paese lontano.

Qualcosa, però, sta cambiando. Non dobbiamo più sentirci la brutta copia poliglotta di Siri o di Alexa. Sul mercato è arrivato un oggetto che, grazie all’Intelligenza artificiale, non usa un timbro e una tonalità standard: cattura la nostra voce, unica come un’impronta digitale, e la riproduce in maniera fedele. La clona.

Ci fa rimanere noi, appropriandosi di un pezzetto della nostra individualità. Arricchendola, in cambio, di una loquace stampella elettronica.

L’aggeggio si chiama Translator Q1 ed è prodotto dall’azienda polacca Vasco, veterana nel settore dell’interpretariato hi-tech. «Quest’innovazione rende le conversazioni più naturali che mai», esulta il ceo Maciej Góralski, che porta avanti la società ispirandosi a un insegnamento di Nelson Mandela: «Se parli con una persona in una lingua a lei comprensibile, arriverai alla sua testa. Se le parli nella sua lingua madre, arriverai al suo cuore».

Difficile dar torto all’ex presidente del Sudafrica. Perché in tantissimi, oggi, masticano un inglese standardizzato, basico, semplificato, che è altresì una condanna a conversazioni scadenti, con scarsa profondità. È come tarpare le ali alla propria creatività verbale, imprigionarla in un vocabolario ristretto. Il traduttore apre il recinto, fa uscire il lessico dalla gabbia.

Siamo davanti a una svolta tecnologica che, senza esagerare, è di portata biblica. Grazie a dispositivi di questo tipo, assieme ad auricolari intelligentoni che si trasformano in interpreti solerti quanto invisibili, agli smartphone che scrutano e ascoltano il mondo circostante e, se serve, lo riportano a codici uditivi e visivi familiari, viene meno il caos dell’incomunicabilità.

Crolla la torre di Babele, o meglio è coperta da un velo che la rende invisibile, identico a quello usato dagli illusionisti per strabiliare il pubblico con un trucco di magia. Perché tutto il pianeta, seppure attraverso un filtro digitale, può tornare a capirsi senza fraintendimenti e sfinenti complessità.

Occorre giusto un po’ di pazienza, il tempo che la macchina decifri un dialogo e lo traduca. Un processo quasi immediato, o poco ci manca.

La funzione di clonazione del Translator Q1 è stata battezzata «Vasco my voice», è disponibile in 54 lingue, non richiede interventi manuali: riconosce immediatamente la provenienza del proprio interlocutore e si mette all’opera. Così non si rischia di scambiare un giapponese per un coreano, iniziando la chiacchierata con una gaffe.

Il prodotto ha una sim integrata, che dà accesso gratuito e illimitato alla rete in circa 200 Paesi: significa che non bisogna mettersi a inseguire reti Wi-Fi. Ed è efficace non soltanto in presenza: «Un’altra grande novità» osserva Góralski «è la traduzione simultanea durante le chiamate telefoniche. Possiamo così comunicare senza barriere linguistiche, per esempio con il proprietario di un alloggio o in caso di emergenza».

A voler essere pragmatici, acquistare un oggetto ad hoc non è davvero necessario, a meno che non serva per utilizzo prolungato, per motivi di studio o lavoro. D’altronde, la maggior parte dei cellulari ha già a bordo programmini che traducono frasi lunghe in maniera accettabile.

Non tutti brillano per accuratezza, si macchiano di fraintendimenti grossolani e dopo un po’, è vero, si finisce per perdere la pazienza, ma per uno scambio essenziale sono più che sufficienti.

Come lo è Google Lens o la sua versione avanzata, Gemini Live: basta inquadrare un menu del ristorante o un cartello scritto in caratteri per noi indecifrabili e il software individua la lingua e sovrappone la traduzione direttamente sul display.

All’estero, per non ordinare un piatto dalla piccantezza omicida o non tuffarsi in un fiume frequentato da coccodrilli, può tornare utile. 

A breve, peraltro, tali informazioni diventeranno a portata di sguardo: sono stati appena svelati gli occhiali Meta Ray-Ban Display, con uno schermetto trasparente installato direttamente nella lente destra. Creano in diretta sottotitoli in italiano di quello che scandisce un interlocutore straniero o traducono avvisi e dintorni.

E chi, nonostante quest’abbondanza di scorciatoie, voglia ancora imparare una lingua, ha modo di farlo prima e meglio, sempre grazie alla tecnologia.

Applicazioni come Duolingo trasformano l’apprendimento in un videogioco ricco d’ironia, mentre altre, per esempio Babbel, permettono di vincere la timidezza d’interagire con un insegnante o altri studenti: si dialoga con un computer che, grazie alla solita intelligenza artificiale, assegna compiti, riconosce ciò che stiamo dicendo, valuta i progressi fatti.

A volte può essere più utile una macchina che parla con noi, anziché una che parla come noi.

Autore
Panorama

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