La nuova Lega sono due: dopo la sconfitta di Vannacci si riaccende il fronte nordista
- Postato il 25 ottobre 2025
- Di Panorama
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La sconfitta del generale ha galvanizzato le truppe. Gli anti Vannacci sono pronti a riorganizzare l’esercito padano. Dopo le regionali toscane, s’alza il moto federalista. Il gagliardo eurodeputato, dall’avamposto viareggino, ha combattuto la sua solitaria battaglia. La sconfitta, però, soverchierebbe le peggiori attese: il 4,4 per cento, un quinto dei voti raccolti dalla Lega nel 2020. Le vecchie glorie, dunque, sono in subbuglio. La resa dei conti si avvicina. Stavolta, ci sperano: Matteo Salvini dovrà addivenire a miti consigli.
L’ispirazione viene dal modello tedesco della Csu bavarese, identitaria e alleata con la Cdu. Il leader e vicepremier, nella riedizione italiana, sarebbe l’unificatore. Alle politiche si andrà sempre tutti insieme appassionatamente a bordo del Carroccio, ormai irreversibilmente nazionalizzato. Sul territorio, invece, potrebbero essere rafforzate le gloriose leghe regionali. L’idea è stata lanciata per la prima volta da Massimiliano Romeo, capogruppo al senato e segretario della Lega Lombarda, quasi un anno fa. Allora sembrava una sfida solitaria. Adesso prende piede in parlamento e tra i governatori. Le elezioni politiche non sono poi così lontane. E i timori serpeggiano.
«Di doman non v’è certezza» poetava Lorenzo de’ Medici. «Col cazzo che vannaccizzano la Lega» rielabora boccaccescamente Attilio Fontana, presidente della Lombardia, durante un congresso giovanile del partito. Segue un applauso simile a quello raccolto dal ragionier Ugo Fantozzi, che estenuato garantiva: «La Corazzata Potëmkin è una cagata pazzesca!».
L’assai più garbato Romeo, a cui si deve la primogenitura del teutonico spunto, spiega a Panorama: «La Lega deve tornare a essere il sindacato del territorio, da nord a sud. Non si può vivere di nostalgie, ma non dobbiamo nemmeno continuare a snaturarci. Qualsiasi evoluzione, adesso, non può prescindere dalle origini». Procedere alla bavarese, dunque. «Ci serve più autonomia, per portare avanti i nostri temi identitari».
Romeo ha rilanciato il progetto a Pontida. Ecco i dettagli. Alle regionali e alle amministrative correrebbero, guidate dai rispettivi segretari, le diverse leghe: che sia lombarda, veneta, piemontese o di altri territori. Tutte federate al Carroccio. Alle politiche, invece, il fronte si ricompatterebbe. «Alla fine, si tratterebbe di concedere maggiori poteri a soggetti politici che esistono da sempre» ragiona Romeo. Insomma, la premessa è: non ci divideremo in rivoli e partitini. «Bisogna solo riorganizzare il movimento, con una gestione meno centralizzata. La Lega deve semplicemente tornare a fare la Lega. Non siamo né di centro, né destra, né di sinistra».
Il suo omologo a Montecitorio, Riccardo Molinari, sembra allineatissimo: «La Lega è post ideologica». Il mite capogruppo alla Camera analizza: «Buona parte dei nostri elettori in Toscana non si è riconosciuta in quel messaggio». Ovvero la maschia campagna elettorale, tacciata di sessismo e aggressività. Troppo a destra, lamentano. «Piuttosto che una brutta copia di Fratelli d’Italia, gli elettori scelgono l’originale» spiega Romeo. «Per questo, dobbiamo tornare a essere ciò che eravamo». Roberto Vannacci, però, prosegue indomito: «Io non mollo». Senza di lui, ribatte, «magari la Lega si fermava all’1 per cento». Massimiliano Simoni, unico eletto alle ultime regionali, dettaglia: «Proseguiremo con il rinnovamento. Abbiamo fatto un brutto risultato solo perché non c’era il suo nome nel simbolo». L’abbondante mezzo milione di voti raccolto dal generale alle europee fu galeotto. Salvini decide di dargli sempre più spazio. Fino a nominarlo suo vice, assieme all’altrettanto vigorosa Silvia Sardone.
Ai fedelissimi avrebbe spiegato: non è soltanto comunanza ideale, ma soprattutto il timore che Vannacci fondi il suo movimento, portandosi dietro voti e seguaci. Tornare indietro, comunque, sembra ormai impensabile. Il Capitano è stato rieletto sei mesi fa, per tre anni. Non si discute. E nemmeno il generale del resto, a meno di un suo clamoroso addio.
Ma i colonnelli nordisti scalpitano. Il malumore tracima. Le frasi di circostanza diventano ribaldi proponimenti. Il più infastidito è Luca Zaia, il governatore del Veneto. Non si è potuto ricandidare per il mancato accordo sul terzo mandato. Poi, gli hanno vietato di schierare la lista con il suo nome. Così, esce allo scoperto: «Il modello stile Csu-Cdu, dove la Baviera porta le istanze dei suoi territori, dovrebbe essere un esempio da calare anche nei nostri partiti». Cominciando dalla Lega, ovviamente. Salvini la definisce un’idea «molto interessante». Del resto, aggiunge, «essere autonomisti in Italia e sovranisti in Europa diventa naturale». Il modello non dispiacerebbe neanche all’altro vice segretario del partito, Claudio Durigon, proconsole al centro e al sud. Il governatore del Friuli-Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, per ora si astiene. Non stupisce: dicono sia democristiano, più che barbaro. Pure lui, comunque, è un convinto sostenitore della federalizzazione. Nonostante il proverbiale riserbo, Fontana invece pare risoluto. Da mesi, lamenta «la questione settentrionale»: residuo fiscale, centralismo, competitività. Così, dopo aver coloritamente esecrato la vannacizzazione, apre al doppio partito crucchizzato: uno al Nord e l’altro nel resto d’Italia. Lascia intendere che c’è perfino un alfiere bell’è pronto: «Un grande presidente di regione, ma anche un uomo politico di notevole spessore». Siori e siore, c’è «bisogno di persone come Luca Zaia».
La Lombardia è il crocevia del dissenso. Per ottenere il via libera al garbatissimo Alberto Stefani in Veneto, Salvini ha ceduto a Fratelli d’Italia la candidatura nella regione nordista. Avrebbe tentato pure di far firmare a Romeo un patto di desistenza, che annunciava l’implicita rinuncia all’impero padano. Lui, però, si sarebbe cortesemente sottratto. Adesso, a Panorama, spiega: «Mancano ancora tre anni alle elezioni. La regione deve rimanere leghista». Non sarà semplice. I meloniani avrebbero persino individuato un candidato ideale: il recalcitrante Ettore Prandini, presidente della Coldiretti (che però ha tacitato i rumors con una lettera al Sole 24 Ore). Per questo, urge accelerare. Romeo s’è presentato a Pontida con la «Carta della Lombardia»: salari legati al costo della vita, no alla centralizzazione, poteri speciali a Milano. Una garbata rielaborazione di «Roma ladrona». Serve anche per evitare ulteriori defezioni. Come quella di Paolo Grimoldi, ex segretario lombardo, o Roberto Castelli, già Guardasigilli. Hanno fondato un nuovo partito, il Patto per il Nord, nel nome del Senatur, Umberto Bossi.
Sfrenato federalismo, insomma. Del resto, l’annunciata riforma governativa sull’autonomia arranca. I ministeri non vogliono cedere. E il ministro delle Riforme, Roberto Calderoli, scalpita. Sulla Lega alla bavarese, però, non si pronuncia. E si esime anche l’altro grande vecchio del Carroccio: il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. I segretari passano, loro restano.
In compenso è la moglie di Calderoli, Gianna Gancia, ex europarlamentare e consigliera regionale del Piemonte, a farsi sentire. Dopo la sconfitta in Toscana, deflagra: «Se la Lega prende più del 21 per cento a Gioia Tauro e sprofonda sotto il cinque in Toscana qualche domanda me la farei…». Così, approva la variante sul tema: un partito al Nord e uno al Centro-Sud. D’altronde, «ormai ci sono due Leghe».
Inutile negare la distanza tra ortodossi moderati e testosteronici vannacciani. Solo qualche colonnello prova a ridimensionare. I dinamitardi c’erano pure prima, si eccepisce. Lo scatenato Mario Borghezio disinfettava i vagoni su cui viaggiavano gli extracomunitari. Lo sceriffo Giancarlo Gentilini voleva fare «pulizia etnica dei culattoni». Ma adesso è diverso. Il generale non è solo un assaltatore, ma anche uno stratega alle grandi manovre. Con una spiccata predilezione per la guerrilla. C’è bisogno di riorganizzare le vecchie truppe. Come diceva il Senatur: «In tutte le regioni bagnate dal Po c’è un esercito padano. Aspettano che succeda qualcosa, un lampo, per mettersi in cammino». Nel dubbio, hanno cominciato a scavare la trincea.