Il vertice Vance – Giorgia Meloni

  • Postato il 19 aprile 2025
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Il vertice Vance – Giorgia Meloni

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Sorrisi e abbracci a Palazzo Chigi dove la premier e il vicepresidente J.D. Vance si sono ritrovati prima su un divanetto e poi a colazione


La bella notizia è che siamo i “migliori” amici e partner del Presidente degli Stati Uniti. La brutta notizia è il Potus in questione si chiama Donald Trump ed è il più discutibile inquilino che la Casa Bianca abbia conosciuto in 250 anni di Storia. Se riusciremo a scansare il sibilo del boomerang che ci passa sopra la testa, potrebbe essere una bella storia. Per l’Italia e per l’Europa. Diversamente, il rischio è che da “ponte” a “cavallo di Troia” il passaggio sia breve e doloroso. Scriveva ieri, venerdì 18 aprile, il New York Times: «Meloni piace così tanto a Trump perché intende fare delle posizioni conservatrici e sovraniste del governo italiano un modello per l’Europa».


La due giorni Washington-Roma sembra chiudersi con un bilancio positivo per Giorgia Meloni. Sorrisi e battute calorose alla Casa Bianca. Sorrisi e abbracci ieri, venerdì 18 aprile, a Palazzo Chigi dove la premier e il vicepresidente J.D. Vance si sono ritrovati prima su un divanetto e poi a colazione così come si erano trovati 24 ore prima nella Cabinet room della Casa Bianca.

L’INCONTRO CON VANCE

«C’è il traduttore? No, allora faccio da sola» si è sbrigata la premier in tailleur rosa antico dopo il total white del giorno prima alla Casa Bianca. Materiale utile per gli armocromisti. «Sono molto orgogliosa di questo rapporto – ha detto – L’Italia è un partner importante in Europa e nel Mediterraneo per gli Stati Uniti». Diciamo che alla Casa Bianca sono stati messi in fila sul tavolo i bulloni, il vertice di ieri a Chigi ha avuto un doppio ruolo, pragmatico e politico: iniziare a stringere quei bulloni; condividere con Tajani e Salvini, presenti al pranzo, il messaggio di compattezza della squadra di governo che comunque ha un solo Commander in chief o un “new sheriff in town” (come piace dire a Vance): Giorgia Meloni.

IL VERTICE CON L’UNIONE EUROPEA


La sostanza dei due bilaterali è stata affidata ad un joint statement (comunicato unitario) diffuso dalla Casa Bianca (tocca sempre al padrone di casa). Si tratta di un vero proprio Memorandum Italia-Usa che, nonostante gli sforzi, certifica un rapporto bilaterale tra i due paesi (“questo primo meeting rafforza l’alleanza strategica Italia-Usa” si legge nelle prime righe) su tre macro settori – sicurezza, rapporti economici, tecnologia – che potrebbe non piacere del tutto a Bruxelles.

Per quello che riguarda l’immediato, la notizia sta in fondo alle quattro pagine: «Il Presidente Trump – si legge – ha accettato l’invito del primo ministro Meloni per una visita di stato in Italia in un futuro molto prossimo». C’è già una data: metà giugno, quando Trump volerà a L’Aja per il vertice Nato. Subito prima o subito dopo sarà a Roma. Nella stessa occasione, la Casa Bianca «considera di prendere parte ad un meeting tra Stati Uniti e Europa». Favorire, facilitare, fare in modo che Trump incontri von der Leyen è il goal che Meloni dice di voler fare. Sarebbe anche il modo per cambiare l’Europa dall’interno.

UCRAINA A SENSO UNICO

«Ho aggiornato la premier Meloni sull’andamento dei negoziati tra Russia e Ucraina, sulle novità delle ultime ore (giovedì Macron è riuscito a mettere intorno al tavolo europeo per la prima volta i delegati Usa guidati da Witkoff e quelli ucraini)» ha detto ieri, venerdì 18 aprile, Vance. Nel Memorandum, dopo aver precisato che “la guerra deve finire”, si esprime «pieno sostegno alla leadership di Trump nel negoziare un cessate il fuoco e nel raggiungere una pace giusta e duratura». E qui c’è un primo problema: Meloni si affida alla leadership di Trump per chiudere la guerra. Ma Trump non è un “fan” (cit.) di Zelensky e non lo ha mai visto come “aggredito” dalla Russia. Nello Studio Ovale Meloni è stata lesta nel tagliare fuori la traduttrice e spiegare lei a Trump cosa aveva detto sul 2% e sull’Ucraina tralasciando, ad esempio, l’invasore russo e l’aggredita ucraina.

NATO TUTTO OK…. SE CI ARMIAMO

Sembrano spazzati via i dubbi circa la permanenza degli Usa nell’Alleanza atlantica. Il “problema” arriva sul capitolo armamenti. La parola armi non viene usata. Neppure il famigerato 2% di pil di spese in Difesa che Meloni ha promesso di portare a giugno al vertice Nato. Si capisce però che l’Italia dovrà acquistare (quando Giorgetti deciderà di farlo, Crosetto è in pressing) armi negli Usa. “La nostra cooperazione in materia di difesa – si legge – deve poggiare su una catena di approvvigionamento transatlantica profonda e articolata”. Il contesto di sicurezza è complesso e quindi “siamo pronti ad aumentare ulteriormente la cooperazione in materia di equipaggiamenti e tecnologie per la difesa, incluso lo sviluppo e la coproduzione”. E poi uniti nella lotta all’immigrazione clandestina e alle droghe sintetiche. Nel memorandum manca ogni riferimento, alla cultura woke.

LA PROSPERITÀ CONDIVISA

Capitolo scivoloso perché i commerci sono esclusiva della Commissione Ue. Qui il diplomatico italiano deve aver lavorato a lungo per correggere il tiro. «Usa e Italia – si legge – concordano sull’importanza di garantire che il commercio tra Stati Uniti e Europa sia equo, reciprocamente vantaggioso e trasparente». Italia garante, quindi, di un patto Usa-Ue. Con alcuni paletti precisi, ad esempio sulla web tax. «Un ambiente non discriminatorio in materia di tassazione dei servizi digitali – si legge – è necessario per favorire gli investimenti delle aziende tecnologiche all’avanguardia».

Ci saranno investimenti americani in Italia su AI e nei servizi cloud «per massimizzare le opportunità della trasformazione digitale e sostenere l’Italia come hub regionale dei dati per il Mediterraneo e il Nord Africa». Entrambi i paesi saranno «partner orgogliosi in iniziative industriali che apporteranno benefici occupazionali in entrambi i Paesi, svolgendo un ruolo vitale nelle rispettive catene del valore e rafforzando le nostre basi industriali». Ad esempio l’Italia «contribuirà alla rinascita marittima del settore cantieristico statunitense, mentre gli Stati Uniti valuteranno le opportunità di investimento offerte dal sempre più favorevole contesto imprenditoriale italiano». Investimenti che riguarderanno soprattutto il sud Italia e l’area unica Zes (senza tassazione). Importeremo più gas liquido, anche se ci costerà molto e non sappiamo già adesso dove stoccarlo. Il Memorandum parla di un generico modo “reciprocamente vantaggioso”.

IL CORRIDOIO CHE TAGLIA LA CINA

Nella partnership economica, gli Usa propongono all’Italia di far parte del Corridoio Economico India-Medio Oriente-Europa, “uno dei più importanti progetti di integrazione economica e connettività che collegherà l’India agli Stati Uniti attraverso il Golfo, Israele e l’Italia tramite porti, ferrovie e cavi sottomarini”. Una via dell’oro che prenda il posto una volta per tutte della Via della Seta cinese. Anche questo è un passo in avanti che nei fatti sgancia l’Italia dai piani dell’Unione europea.

IL VIA LIBERA A STARLINK

Il governo italiano ammaina definitivamente bandiera a Elon Musk e al suo factotum italiano Stroppa. Sotto il capitolo tecnologie, tra i viaggi su Marte con la missione Artemis, si legge infatti che «Usa e Italia riconoscono la necessità di proteggere le nostre infrastrutture e tecnologie critiche e sensibili a livello nazionale, motivo per cui ci impegniamo a utilizzare solo fornitori affidabili in queste reti. Non esiste fiducia più grande della nostra alleanza strategica, ed è per questo che non può esserci discriminazione tra fornitori statunitensi e italiani».


Ora, a ben vedere, il Memorandum impegna l’Italia ben oltre le previsioni della vigilia. Anche in capitoli – commercio e difesa – che dovrebbero essere condivisi prima con Bruxelles che con Washington. Ursula von der Leyen potrebbe non essere troppo soddisfatta di questo Patto Italia-Usa.

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