Il re nudo e le catastrofi digitali

  • Postato il 29 luglio 2025
  • Di Panorama
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Quando qualche tempo fa la Spagna è sprofondata nel buio per un black out su scala nazionale e giorni dopo un Boeing 787 si è schiantato in India poco dopo il decollo, una delle ipotesi sussurrate nei corridoi e nei notiziari, neppure troppo timidamente, è stata: “E se fosse un attacco cyber?”. Ma subito dopo, come a volerci svegliare da un brutto sogno, parte la corsa inversa: quella di trovare una spiegazione “normale”, analogica, confortante. Un cortocircuito, un errore umano, una tragica coincidenza meteorologica.

È come se esistesse un riflesso condizionato collettivo, una pulsione condivisa a esorcizzare l’ipotesi cyber. Finché non c’è una prova incontrovertibile, allora non è successo. E questo, curiosamente, ci rassicura.

Il paradosso è evidente: viviamo in un mondo in cui tutto è digitalizzato, interconnesso, automatizzato – ma ci sentiamo più al sicuro se a far precipitare un aereo è un fulmine, piuttosto che una stringa di codice. Perché, se l’errore è umano, è “vecchio”, lo conosciamo, se il guasto è meccanico, possiamo accettarlo: i bulloni si rompono. Ma un attacco cyber riuscito, certificato, dimostrato cambierebbe la nostra narrazione del mondo. Sarebbe una rivelazione inquietante: che il re è nudo, che la nostra infrastruttura globale, da cui dipendono vite, città, intere economie, è molto meno solida di quanto vogliamo credere.

In fondo, chi profetizza un cyber disastro viene ancora confinato nella categoria dei pessimisti, dei visionari un po’ apocalittici. Finché le catastrofi digitali abitano le pagine della fantascienza, romanzi, serie TV, talk show, tutto va bene. Ma se un giorno, uno di quei disastri dovesse uscire dalle simulazioni e irrompere nei libri di storia, con prove alla mano, allora il gioco cambierebbe. Non saremmo più nella comoda zona delle ipotesi, ma davanti a una nuova realtà.

Allora il rischio diventerebbe inaccettabile, perché onnipresente. Se anche un aereo può cadere o una nazione spegnersi a causa di un attacco cyber, come possiamo ancora sentirci al sicuro? Come possiamo fidarci della luce che accendiamo o della torre di controllo che guida il nostro volo?

La verità è che stiamo vivendo una fase di rimozione collettiva. Non vogliamo davvero sapere quanto sia fragile la nostra civiltà digitale. Preferiamo non vedere. La filosofia ci insegna che l’uomo teme la verità non per ciò che rivela, ma per ciò che costringe a fare. Se accettassimo fino in fondo la possibilità del disastro cyber, dovremmo rimettere in discussione tutto: sicurezza, modelli di sviluppo, logiche di controllo.

Dunque meglio continuare a escludere l’ipotesi, finché si può. Meglio credere che il pericolo sia ancora lontano, ancora evitabile, ancora fantascientifico. Come se l’ignoranza, ancora una volta, fosse una forma rudimentale di salvezza.

Autore
Panorama

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