I riti della settimana santa
- Postato il 18 aprile 2025
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Il Quotidiano del Sud
I riti della settimana santa
Un viaggio antropologico tra alcuni dei riti della settimana santa in Calabria
La Calabria, terra di contrasti dove il mare si scontra con le montagne e il passato sussurra tra i vicoli dei paesi, si trasforma ogni anno, durante la Settimana Santa, in un palcoscenico di fede, penitenza e memoria collettiva. Qui, la Pasqua non è solo un evento religioso, ma è un’esperienza antropologica che intreccia il “sacro” al “profano”, il dolore alla speranza, il silenzio al canto. Da oltre trent’anni, con la mia macchina da presa al seguito, ho percorso i sentieri di questa regione, catturando frammenti di riti che si ripetono come un mantra, ma che ogni volta rivelano qualcosa di nuovo. Da Caulonia ad Amantea, da Cassano Ionio a Mesoraca, da Verbicaro a Nocera Terinese, la Settimana Santa in Calabria è un mosaico di gesti, suoni e luoghi che raccontano una storia antica, radicata in una religiosità popolare che resiste al tempo.
Riti, a Caulonia: il Caracolo, un lento vortice di fede
Caulonia, un paese arroccato sulle colline ioniche, si anima il Sabato Santo con la processione del “Caracolo”, parola che richiama la forma a chiocciola del suo percorso. Le stradine medievali, strette e lastricate, si riempiono di un corteo che avanza con una lentezza quasi ipnotica. Due processioni partono da chiese diverse: una porta la statua della Madonna Addolorata, l’altra quella di Cristo Risorto. I fedeli, molti con corone di spine intrecciate a mano, si muovono in silenzio, interrotto solo dai canti dialettali che si levano come lamenti.
Quando i cortei si incontrano nel cuore del paese, il ritmo cambia: la folla si stringe, i portatori delle statue si inchinano, e il “Caracolo” prende forma, un cerchio che avvolge il sagrato della chiesa matrice. Ho sempre trovato Caulonia un luogo di contrasti visivi: la luce del tramonto che accende i muri di pietra, il nero dei mantelli contro il bianco delle tuniche.
La mia macchina da presa si è spesso soffermata sui volti: anziani con rughe profonde, giovani che ripetono gesti imparati dai nonni, bambini che osservano con occhi spalancati. Ogni inquadratura cattura un tempo sospeso, dove la comunità si riunisce per riaffermare la propria identità. Confrontando le processioni nel tempo, noto una continuità quasi ostinata: i canti sono gli stessi, i passi misurati identici. Eppure, c’è un’energia nuova, portata dai fotografi e dai curiosi che, con i loro smartphone, trasformano il rito in un evento globale.
Amantea: le Varette, un canto che attraversa i secoli
Scendendo verso il Tirreno, Amantea accoglie la processione delle “Varette”, statue lignee che rappresentano scene della Passione. Il Venerdì Santo, il centro storico si trasforma in un teatro a cielo aperto. Le strade, fiancheggiate da palazzi barocchi e balconi fioriti, si riempiono di fedeli che seguono le statue portate a spalla. Ma ciò che colpisce di più è il suono: gruppi di cantori, uomini e donne, intonano inni medievali, alcuni in latino, altri in dialetto. Le voci si intrecciano, creando una melodia che sembra emergere dalla terra stessa.
Osservando da dietro l’obiettivo, ho imparato a cogliere i dettagli: le mani callose dei portatori, il tremolio delle candele accese, il sudore che cola sui volti dei cantori. Una volta, mentre montavo un documentario, mi sono accorto di un particolare: una donna anziana, in prima fila, cantava con gli occhi chiusi, come se stesse rivivendo ogni verso incarnando il cuore della religiosità popolare: un’esperienza che non si spiega, si vive. Confrontando Amantea con altri riti, come quelli di Caulonia, emerge una differenza: qui il canto è protagonista, un ponte tra generazioni che non ha bisogno di parole moderne per essere compreso.
Riti, a Cassano Ionio: i Disciplini, il peso del ferro e del tempo
A Cassano Ionio, nella piana di Sibari, la Settimana Santa assume un carattere più austero. La processione dei “Disciplini” è un rituale che richiede resistenza fisica e mentale. Scalzi, con il volto coperto da cappucci bianchi, questi uomini e donne attraversano la cittadina per tutto il Venerdì Santo. Si percuotono con flagelli di metallo, un gesto che produce un suono sordo, quasi un’eco del loro “dolore”. Le donne, in parallelo, cantano testi antichi, versi in dialetto che parlano di colpa, redenzione e sacrificio.
Leonardo Alario, amico, fine osservatore e studioso che incontro ogni anno durante il rito, sottolinea come alcuni ricercatori insistono sulle ascendenze mediterranee precristiane di certi riti pasquali, in particolare quelli legati al sangue. Tuttavia, più che di origini mediterranee e precristiane – pur da tenere in considerazione – sarebbe forse più opportuno parlare di radici medievali per quei complessi riti espiatori. Attraverso l’imitazione della passione e morte di Cristo, con pratiche come la flagellazione e la penitenza, si cercava di ottenere la purificazione dal male e la rinascita a una nuova vita, segnata dalla salvezza garantita dalla Resurrezione di Cristo.
Cassano è un luogo che sfida lo spettatore.
Le sue strade, ampie e dritte nel centro moderno, si restringono nel borgo antico, dove le case sembrano osservare il corteo. Come documentarista, ho sempre cercato di bilanciare il rispetto per il rito con la necessità di raccontare. Una volta, mentre filmavo un “Disciplino” che si fermava per riprendere fiato, ho catturato il suo sguardo sotto il cappuccio: non era sofferenza, ma determinazione. Quel momento è finito in una sequenza, insieme al suono delle “troccole”, strumenti di legno che accompagnano il passo lento dei penitenti.
Mesoraca: “Lu Segnure è muertu”, un lamento che scuote
A Mesoraca, nel cuore del Marchesato crotonese, il Venerdì Santo è dominato dalla processione del “Cristo Morto”, chiamato in dialetto “Lu Segnure è muertu”. Il paese, circondato da colline brulle, si ferma. La statua di Cristo, adagiata in una bara di legno, viene portata a spalla per le vie e per i vicoli, seguita da un corteo silenzioso.
Prima della processione, una croce penitenziale viene assegnata a un devoto attraverso un’asta pubblica, un rituale che mescola fede e prestigio sociale. Il suono delle “troccole” e delle “raganelle” scandisce il tempo, mentre le donne intonano il “Chiantu di Maria”, un lamento che sembra risalire a epoche precristiane. Filmare Mesoraca è stato, per me, un esercizio di pazienza. La processione si ferma spesso, come se il paese volesse prolungare la liturgia del “lutto”.
La mia macchina da presa ha catturato dettagli che, a occhio nudo, sfuggono: il riflesso delle candele sulle pietre di basalto, il tremore delle mani di un portatore, il silenzio improvviso quando il corteo si ferma davanti a un sepolcro. Nel montaggio, ho scelto di lasciare lunghi momenti di suono ambientale: il vento, i passi, il crepitio del legno. È un modo per restituire la gravità del rito, che a Mesoraca non è solo religioso, ma è un dialogo col concetto di morte del Cristo.

Verbicaro e Nocera Terinese: il sangue dei Vattienti
Il cuore più cruento della Settimana Santa calabrese batte a Verbicaro e Nocera Terinese, dove i “vattienti”, i flagellanti, trasformano la penitenza in un atto viscerale. A Verbicaro, il Giovedì Santo, le strade del paese si tingono di rosso. I “vattienti” si percuotono le gambe con il “cardo”, un disco di sughero con tredici frammenti di vetro, e la “rosa”, un altro disco che prepara la pelle al sanguinamento. Il rito si svolge nella penombra, tra i vicoli stretti e i muri di pietra, sotto gli occhi di una folla che mescola devoti, curiosi e fotografi.
Il rito più cruento
A Nocera Terinese, il rito si prolunga dal Venerdì al Sabato Santo. Qui, i “vattienti” indossano una maglia nera e pantaloni corti, con un panno nero in testa fermato da una corona di spine. Accompagnati dall’“acciomu”, una figura che richiama l’Ecce Homo, si battono fino a lasciare scie di sangue sull’asfalto, davanti alle case di parenti e amici. Tra loro, ricordo con commozione Cesare Vocaturo, uno dei più anziani “vattienti”, scomparso di recente: il suo passo lento, il suo sguardo fermo, il suo sangue offerto anno dopo anno, rimangono impressi nella memoria di chi lo ha conosciuto, come Antonio Macchione, Emanuele Rotundo, Franco Ferlaino, Angela Sposato, Adriano Rocca e i suoi figli Roberto e Stefano.
La processione della Madonna Addolorata è il culmine: i “vattienti” si inginocchiano davanti alla statua, “offrendo il loro dolore” come sacrificio.
Filmare i “vattienti” è un’esperienza che scuote. La prima volta, a Verbicaro, ho esitato a inquadrare il sangue, temendo di invadere un momento intimo. Poi ho capito che il mio ruolo era testimoniare, non giudicare. Ho imparato a seguire il ritmo del rito: il colpo del “cardo”, il passo lento, il respiro affannoso.
Nei miei ragionamenti di montaggio, ho spesso sovrapposto il suono dei colpi al canto della folla, creando un contrasto che sottolinea la dualità del rito: sofferenza e comunità. Confrontando i due paesi, emerge una differenza: a Verbicaro il rito è più raccolto, quasi segreto; a Nocera è pubblico, quasi teatrale. Eppure, in entrambi, il sangue è un linguaggio che parla di colpa, redenzione e appartenenza.
*documentarista