Gaza, l’Onu denuncia: «Gli aiuti non arrivano, vengono bloccati da milizie armate»

  • Postato il 1 agosto 2025
  • Di Panorama
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Secondo quanto riportato dal sito ufficiale delle Nazioni Unite, migliaia di camion carichi di generi alimentari e medicinali sono stati intercettati prima di raggiungere la popolazione civile. La causa principale sarebbe l’azione di gruppi armati che sequestrano i convogli umanitari lungo il percorso.Il bilancio è allarmante: solo il 10% degli aiuti riesce a giungere a destinazione senza impedimenti.

L’inviato speciale degli Stati Uniti, Steve Witkoff, è giunto questa mattina a Gaza per ispezionare un centro di distribuzione degli aiuti umanitari situato a Rafah, secondo quanto riferito da Channel 12. Insieme a lui c’è anche l’ambasciatore americano in Israele, Mike Huckabee. I due stanno visitando il centro e altri siti gestiti dalla Gaza Humanitarian Foundation, un’organizzazione sostenuta da Washington e Tel Aviv, nell’ambito della preparazione di un nuovo piano statunitense per la distribuzione degli aiuti nella Striscia. La Casa Bianca ha precisato che i due funzionari «ispezioneranno i punti di distribuzione esistenti per definire una strategia volta a incrementare la consegna di generi alimentari» e che «incontreranno la popolazione locale per ascoltare direttamente le testimonianze sulla drammatica situazione umanitaria». Al termine della missione, Witkoff e Huckabee riferiranno al presidente Donald Trump in vista dell’approvazione finale del nuovo piano di assistenza.

Nel frattempo, emergono numerose evidenze che attribuiscono le difficoltà nella distribuzione degli aiuti umanitari a una sola causa: Hamas se ne impadronisce e li commercializza illegalmente. A denunciarlo, questa volta, è direttamente l’ONU. Il sistema UnOps–Un2720, creato sotto la supervisione delle Nazioni Unite, rappresenta oggi l’infrastruttura tecnico-amministrativa centrale attraverso cui dovrebbe passare la maggior parte degli aiuti destinati alla popolazione di Gaza.Questo meccanismo è stato varato in seguito alla Risoluzione 2720 del Consiglio di Sicurezza, adottata il 22 dicembre 2023, con la quale si è affidato al Segretario generale delle Nazioni Unite il compito di istituire un sistema in grado di agevolare, coordinare, monitorare e verificare l’ingresso degli aiuti umanitari attraverso Paesi terzi non direttamente coinvolti nel conflitto. L’agenzia Adnkronos visitando il sito web della missione, ha riscontrato dati che colpiscono per la loro portata: nell’arco degli ultimi due mesi, sono stati scaricati ai valichi d’ingresso quasi 40mila pallet, equivalenti a circa 40mila tonnellate di forniture alimentari, sanitarie ed energetiche. Di questi, circa 30mila sono stati presi in carico, ma solo 4.200 sono effettivamente arrivati nei punti di destinazione all’interno di Gaza. Ben 25.700 pallet – pari a 23.350 tonnellate – trasportati da 1.753 camion, sono stati «intercettati», secondo la definizione ufficiale delle Nazioni Unite, «o da civili affamati in modo non violento, o con la forza da gruppi armati, durante il tragitto dentro la Striscia».

In sostanza, appena il 10% degli aiuti giunti al confine è stato distribuito senza ostacoli ai destinatari effettivi, secondo quanto riferiscono le organizzazioni impegnate sul terreno – dal Programma Alimentare Mondiale (Wfp), all’Unicef, dalla Croce Rossa/Mezzaluna Rossa a Medici Senza Frontiere, fino all’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il restante 90% dei carichi è stato sottratto da popolazione disperata o requisito dalle milizie di Hamas, che continuano a esercitare un controllo esteso su ampie aree del territorio e sulla popolazione locale. Le cifre – fornite dalle stesse Nazioni Unite, che non precisano in che misura siano coinvolti gruppi militari – avvalorano quanto afferma Israele, secondo cui la crisi umanitaria in corso non è dovuta all’assenza di cibo o medicinali, ma alla loro appropriazione da parte di Hamas. Il gruppo jihadista decide arbitrariamente a chi distribuire gli aiuti, se farlo, e a quali condizioni, nonostante si tratti di beni gratuiti. Il mandato di UnOps–Un2720 non prevede la sostituzione delle agenzie umanitarie né dei soggetti che operano nella logistica, ma piuttosto la creazione di un punto di accesso unico, l’adozione di un linguaggio comune e l’implementazione di una filiera tracciabile, con codici e sigilli identificativi applicati a ogni pacco. Il programma, di carattere neutrale, è guidato da Sigrid Kaag, ex ministro dei Paesi Bassi, nominata a gennaio 2025 anche Coordinatrice Speciale per il processo di pace in Medio Oriente. Questi numeri, poco noti al grande pubblico, delineano un quadro che si discosta totalmente dalla narrazione prevalente di questi giorni che descrive Israele come responsabile della «carestia a Gaza».

La Lega Araba chiede ad Hamas di deporre le armi e condanna l’attacco del 7 ottobre 2023

Tutto avviene mentre per la prima volta in termini ufficiali, la Lega Araba ha condannato l’attacco lanciato da Hamas il 7 ottobre 2023, chiedendo esplicitamente lo smantellamento del gruppo islamista e il ritorno dell’amministrazione della Striscia di Gaza sotto il controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP).Il documento, firmato da Egitto, Arabia Saudita, Qatar, Giordania e altri Stati membri dell’organizzazione panaraba, invita Hamas a deporre le armi e a rinunciare al controllo del territorio, aprendo la strada a una transizione verso un’amministrazione riconosciuta a livello internazionale. Non c’è dubbio che si tratta di una svolta storica: per la prima volta, il mondo arabo abbandona (almeno formalmente), l’ambiguità nei confronti del movimento palestinese legato ai Fratelli Musulmani, definendolo apertamente un ostacolo alla realizzazione della soluzione dei due Stati. La risoluzione adottata dalla Lega Araba segna così l’avvio di una nuova fase nei rapporti regionali, in cui il ruolo centrale dell’ANP puo’ tornare protagonista. Hamas sottolineando che «la resistenza armata» rappresenta un diritto nazionale riconosciuto dal diritto internazionale, ha categoricamente respinto ogni proposta di disarmo, finché perdurerà quella che definisce «l’occupazione». Il movimento jihadista ha ribadito che non deporrà le armi né rinuncerà alle proprie rivendicazioni, finché non saranno ripristinati tutti i «diritti» e non verrà costituito uno Stato palestinese sovrano e indipendente. l sostegno tacito che in passato alcune capitali arabe avevano riservato a Hamas viene oggi apertamente messo in discussione, in nome della stabilità regionale e nella prospettiva di un accordo di pace duraturo tra israeliani e palestinesi. Un’intesa che, secondo numerosi attori regionali, potrà realizzarsi solo attraverso l’eliminazione totale di Hamas e della Jihad Islamica, e un profondo processo di riforma all’interno dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) ma su questo è lecito avere molti dubbi.

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Panorama

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