Diplomazia in camice bianco: come l’Italia cura il mondo in conflitto
- Postato il 25 maggio 2025
- Di Panorama
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«Se volete l’amore del popolo costruitegli scuole e ospedali». Madre Teresa di Calcutta sapeva tradurre in parole il battito cardiaco del pianeta. La considerazione ha ancora più valore oggi, nella stagione delle guerre di ritorno e delle fibrillazioni permanenti, dove a pagare il prezzo maggiore dei conflitti sono i più deboli. Scuole e ospedali, istruzione e sanità, qualcosa che sfugge alla diplomazia dei governi ma non alla sensibilità e alla lungimiranza di chi indossa un camice. Nasce così la «diplomazia sanitaria» che vede in questi anni il nostro Paese all’avanguardia nel realizzare e gestire ospedali, centri di cura, cliniche universitarie, ambulatori nei luoghi più infiammati del mondo. Dove non c’è un’ambasciata, ecco che eccelle l’Italia a vocazione ospedaliera, quella che si prodiga per guarire le ferite più profonde.
L’esempio sta tutto in una mappa. Sembra che fotografi i successi dell’impero britannico dell’Ottocento, invece è lo specchio di quelli del Gruppo San Donato guidato dalla famiglia Rotelli, con presidente Angelino Alfano: Egitto, Iraq, Arabia Saudita, Tunisia, Libia, fra poco Siria. E poi Albania e Polonia, ultime «conquiste». La nostra italiana è vincente nel mondo arabo grazie «all’effetto Kamel», il vicepresidente del gruppo Kamel Ghribi, manager tunisino e autentico diplomatico della sanità italiana. Con la sua innata capacità (lo testimoniano gli interlocutori) «di costruire consenso, di entrare in una stanza e mettere tutti d’accordo». L’internazionalizzazione della salute è un obiettivo di molti, ma in alcune aree del mondo non tutti hanno i codici per entrare.
Nel Medio Oriente i nordeuropei fanno da sempre fatica per i costi fuori mercato, nel Maghreb francesi e inglesi sono tenuti alla larga, tutta l’area è off limits per gli americani. Ed ecco che su questa complicata scacchiera geopolitica l’Italia ha buon gioco, soprattutto con il prestigio internazionale dell’ospedale San Raffaele di Milano, fiore all’occhiello del gruppo.
Ghribi aveva preannunciato la strategia qualche anno fa al Forum Ambrosetti di Cernobbio: «Sono fermamente convinto che la regione del Mediterraneo con i Paesi limitrofi sia strategicamente cruciale per l’Europa e per l’Italia. Bisogna solo smettere di considerare la sponda nord e la sponda sud come opposte. La mia idea è semplice e forse rivoluzionaria: il Mediterraneo è un mare che unisce, non che divide. È una cerniera fra popoli, culture, economie. Occorre investire sul dialogo e sulla diplomazia, economica e sanitaria». Per poi aggiungere: «Le parole chiave sono cooperazione, multilateralismo, libero scambio. Bisogna tornare a lavorare insieme oggi, così sarà più difficile e sconveniente litigare domani».
Alle parole sono seguiti i fatti e oggi il Gruppo San Donato (primo gruppo italiano con 158 strutture, 27 ospedali, settemila medici, 17 mila collaboratori, cinque milioni di pazienti curati in un anno, quasi due miliardi di fatturato) è anche un ministero degli Esteri di prim’ordine. La missione più delicata è avvenuta nella Siria che tenta di risollevarsi dopo la rivoluzione che ha portato all’implosione del regime di Bashar al-Assad: il primo maggio scorso il leader dell’azienda sanitaria italiana (la prima a entrare nel Paese martoriato) ha incontrato il presidente Ahmad al-Shara con l’obiettivo di partecipare alla ricostruzione della sanità siriana. Il know how italiano è storicamente solido e i rapporti aziendali pure.
L’esempio vincente è l’ospedale universitario Al-Najaf Al-Ashraf Teaching Hospital, affidato un anno fa al gruppo italiano a Najaf, in Iraq, 500 posti letto nella città santa, meta del pellegrinaggio di 20 milioni di musulmani che ogni anno vanno a pregare nel mausoleo di Alì ibn Abi Talib, cugino e genero di Maometto. Teatro di battaglie durante l’occupazione americana, Najaf non vedeva da anni uno straniero neppure per sbaglio. Il principale ospedale, costruito da un gruppo tedesco, era abbandonato a sé stesso e lavorava al minimo. Il capolavoro italiano è stato duplice: far ripartire a pieno regime la struttura e restituire a quella parte di mondo la fiducia nel segno della solidarietà.
Tecnici, ingegneri, falegnami, medici, manager della sanità italiani (in tutto una squadra di 60 persone) hanno trasformato un relitto in un’astronave dove si guariscono le persone. Hanno fatto ripartire i macchinari salvavita, le sale operatorie, hanno ripristinato la manutenzione. Entrato a far parte del Gruppo San Donato, l’ospedale ha potuto assumere 130 fra dottori, infermieri, personale amministrativo. Il punto esclamativo è stato il rientro di alcuni medici iracheni fuggiti in Europa all’inizio del conflitto. Un successo diplomatico tutto tricolore; oggi nella hall il «Bar Italia» sforna cappuccini e brioches per dipendenti, pazienti e loro parenti.
L’esempio ha portato il governo iracheno a replicare l’operazione a Bassora con il Sayyab Teaching Hospital, affidato al gruppo italiano per rendere quell’ospedale efficiente, con tecnologie e standard medico-gestionali europei. E a disposizione di tutti i cittadini, poiché laggiù la sanità pubblica funziona come la nostra. ll GSD prepara lo sbarco anche nella capitale, Baghdad, dove avrà il compito di trasformare un vecchio edificio del centro in un ospedale privato. La spinta alla concretezza arriva da Ghribi, che qualche mese fa in udienza da Papa Francesco riassunse così lo spirito di questa strategia internazionale: «Non importa essere cristiano, ebreo o musulmano. È l’umanità che conta, siamo tutti nati su questa Terra per essere trattati con uguaglianza. Leggo le cifre, che pesano più delle parole, e mi chiedo: dov’è l’uguaglianza? Le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte nel mondo e per queste patologie l’80 per cento dei decessi si registra nei Paesi in via di sviluppo, dove solo il 20 per cento della popolazione ha accesso alle cure di base e solo il 5 per cento alla cardiochirurgia».
Una filosofia moderna e antica, che alberga nel Dna del San Raffaele. Già a metà anni Ottanta il fondatore dell’ospedale don Luigi Verzé intuì l’importanza di replicare il format in Brasile, a Salvador de Bahia. E nel quartiere più povero, accanto a una collina di rifiuti dove ragazzini disperati si arrampicavano per trovare qualcosa da mangiare, costruì il «Saõ Rafael». Altro che rigenerazione urbana. Il giorno dell’inaugurazione del poliambulatorio disse a Bettino Craxi, allora presidente del Consiglio: «Vada a suonare la campana». È quello rispose: «Nessun problema don Luigi, da ragazzo facevo il chierichetto». Ancora oggi a Bahia sostengono che «c’era una sanità prima del Saõ Rafael e una dopo. Senza quell’ospedale, in Brasile non sarebbe esistita la medicina moderna». Seguirono con varia fortuna progetti sanitari in India, Cile, Algeria, Cuba, Palestina, Gerusalemme e a Dharamsala, alle pendici dell’Himalaya su spinta del Dalai Lama.
Un’eredità preziosa passata attraverso mille traversie, che il Gruppo San Donato ha fatto propria. L’ha metabolizzata e attualizzata anche con lo sbarco in Polonia, attraverso il GKSD Investment Holding, dove nel 2023 ha piantato la bandierina prima con l’acquisizione del Gruppo American Hearth of Poland, poi con quella Gruppo Scanmed, 800 milioni di investimento. Le acquisizioni polacche hanno dato vita nel Paese a un colosso da 600 mila pazienti all’anno, con ospedali e ambulatori in 48 città.
Tutto ciò va ad aggiungersi a due Smart Clinic in Egitto (al Cairo), una in Arabia Saudita (a Riad), la gestione di un ospedale in Libia (a Tripoli), un accordo con la Tunisia per assumere 100 infermieri nel gruppo. Fino al memorandum più recente, quello siglato un mese fa con l’Albania del presidente appena rieletto Edi Rama per una collaborazione triennale (formazione e ricerca) fra l’Università di Medicina di Tirana e il Centro Ospedaliero Universitario Madre Teresa da una parte, l’Ospedale San Raffaele e l’Università Vita-Salute, fiori all’occhiello scientifici del Gruppo san Donato dall’altra. In quell’occasione il vicepresidente Paolo Rotelli ha sottolineato: «Favorire l’eccellenza nella formazione medica e nella ricerca scientifica rafforza i rapporti fra popoli».
La diplomazia della salute aiuta il mondo a guarire.