Cosa sta succedendo tra Thailandia e Cambogia e perché c’è il rischio di un’altra guerra
- Postato il 25 luglio 2025
- Politica
- Di Blitz
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I violenti scontri avvenuti il 24 luglio nei pressi del tempio di Ta Muen Thom, al confine tra Thailandia e Cambogia, hanno riportato alla ribalta una disputa territoriale antica e mai del tutto sopita. Secondo le autorità thailandesi, le vittime tra i civili sarebbero decine, mentre non è ancora noto il numero dei morti tra i ranghi cambogiani. Il tempio, noto anche con il nome cambogiano Tamone Thom, si trova in una delle numerose zone di confine contese tra i due Paesi, dove sorgono templi di valore storico e religioso inestimabile.
Le tensioni risalgono al 1907, quando la Francia, potenza coloniale in Cambogia, tracciò arbitrariamente il confine, una decisione mai riconosciuta dalla Thailandia. Dopo la fine del dominio coloniale, nel 1953, la Cambogia si rivolse alla Corte di giustizia internazionale, ma il mancato riconoscimento della giurisdizione da parte thailandese impedì qualsiasi soluzione definitiva. La situazione è riesplosa più volte negli ultimi decenni: nel 2008, ad esempio, il tentativo di Phnom Penh di candidare un tempio Khmer dell’XI secolo a patrimonio dell’Unesco provocò una nuova ondata di violenze.
Più recentemente, il 28 maggio scorso, l’uccisione di un soldato cambogiano nella zona chiamata “Triangolo di Smeraldo”, vicino al confine con il Laos, ha fatto precipitare le relazioni bilaterali. Da allora, i due Paesi hanno imposto restrizioni commerciali e diplomatiche reciproche, alimentando un clima di crescente ostilità.
Scontri armati, crisi politica e rischio escalation
Il 24 luglio, la situazione è degenerata ulteriormente. Secondo il Consiglio per la sicurezza nazionale thailandese, l’esercito cambogiano avrebbe impiegato droni per spiare le truppe di Bangkok. Dopo un tentativo di dialogo fallito, militari cambogiani armati di lanciarazzi avrebbero aperto il fuoco contro le postazioni thailandesi. La rappresaglia non si è fatta attendere. Bangkok ha accusato i cambogiani di aver colpito con armi pesanti, tra cui BM-21 e artiglieria, obiettivi civili come case, ospedali e una stazione di servizio. Phnom Penh ha replicato accusando l’esercito thailandese di aver posizionato filo spinato attorno a un tempio conteso, violando gli accordi in vigore. La Thailandia ha confermato l’uso di aerei da guerra F-16 per colpire postazioni cambogiane.
Nel frattempo, la tensione ha travolto anche la politica interna thailandese. A giugno, la premier Paetongtarn Shinawatra è stata sospesa dalla Corte costituzionale dopo la diffusione di un audio in cui si rivolgeva con deferenza all’ex premier cambogiano Hun Sen, promettendo “di prendersi cura” dei suoi interessi e criticando apertamente un comandante militare tailandese. La registrazione ha innescato proteste di piazza a Bangkok, aggravando una crisi già acuita dal sisma che ha colpito Thailandia e Myanmar a marzo.
Nonostante il clima infuocato, i leader dei due Paesi sembrano voler evitare una guerra su larga scala. Il primo ministro ad interim thailandese, Phumtham Wechayachai, ha definito la situazione “delicata” e ha ribadito l’intenzione di risolverla nel rispetto del diritto internazionale. Da parte sua, il premier cambogiano Hun Manet ha dichiarato: “Vogliamo risolvere la questione pacificamente, ma non avevamo altra scelta se non rispondere con la forza all’aggressione”.
Sicurezza regionale e allerta internazionale
Gli scontri armati si sono concentrati principalmente nelle province thailandesi di Surin, Sisaket e Ubon Ratchathani, zone limitrofe ai templi contesi di Preah Vihear, Ta Kwai e Ta Muen Thom. Sebbene l’area colpita sia relativamente circoscritta, la chiusura delle frontiere ha già avuto ripercussioni economiche e logistiche significative. Phnom Penh ha vietato l’importazione di frutta, verdura, energia e persino servizi internet dalla Thailandia, mentre Bangkok ha ritirato l’ambasciatore e rafforzato la presenza militare lungo tutto il confine.
A livello internazionale, diversi Paesi hanno lanciato allarmi ai viaggiatori. Il Regno Unito, pur non emettendo restrizioni formali, ha invitato alla prudenza. La Cina ha esortato i propri cittadini a evitare la regione, sottolineando l’instabilità crescente e i rischi legati alla mobilità nell’area. Gli osservatori internazionali temono che il conflitto possa degenerare, coinvolgendo anche Paesi vicini come il Laos e il Vietnam, alimentando instabilità in un’area cruciale per gli equilibri geopolitici asiatici.
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